Medio Oriente, 4 milioni di morti e 6 trilioni di dollari per cosa? (prima parte) Passato, presente e futuro di una terra senza pace dove gli USA navigano a vista.

Il primo viaggio ufficiale all’estero di Trump come presidente degli Stati Uniti d’America si è svolto in Arabia Saudita per il summit di fine maggio al King Abdulaziz Center di Riad, organizzato dal re Salman, con 55 leader dei Paesi arabi e islamici. Da un lato si è arrivati lì a fronte di un accordo bilaterale USA-Arabia Saudita per un giro d’affari di 350 miliardi di dollari, con 110 miliardi di dollari per la fornitura di armi, equipaggiamenti e sistemi anti missili da parte della Lockheed Martin e con diversi altri contratti importanti, come la vendita di 48 elicotteri militari della Boeing. Dall’altro lato il governo di Riad comprerà tecnologia e beni di consumo USA mentre imprese americane appronteranno stanziamenti produttivi in Arabia Saudita. Con l’obiettivo del summit che attraverso le parole di Trump si può sintetizzare così: “Combattiamo l’Isis, isoliamo l’Iran, intanto facciamo affari insieme cercando di arrivare alla pace tra Israele-Palestina (più a parole che con i fatti perché i presupposti non ci sono, visto che Israele non ha la benché minima intenzione di frenare gli insediamenti dei coloni nei Territori occupati).
Detto questo, vale la pena approfondire la questione, iniziando da qualche cenno storico. Per due secoli e mezzo gli americani non si sono occupati di Medio Oriente. Poi, negli ultimi decenni, hanno fatto dei casini inenarrabili, con guerre, intromissioni della CIA e bombardamenti in tutta l’area. Con l’Occidente che, insieme ai sunniti, scaricò l’Iraq di Saddam Hussein contro l’Iran in una guerra che provocò un milione di morti iraniani. Fino indietro nel tempo alla deposizione in Iran di Mohammad Mossadeq – primo ministro eletto negli anni Cinquanta e persona perbene che cercava di rimettere in piedi il Paese – che per questioni petrolifere e sotto la pressione degli inglesi, gli USA destituirono in favore dello scià, per una mossa che fatalmente diede il via alla rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini, con risvolti che arrivano fino a oggi, Isis in primis… Quindi, diciamolo una volta per tutte: dal canto loro è legittimo che gli iraniani siano ancora incazzati con gli americani!
Il Medio Oriente, a livello geopolitico ed economico, è fondamentale per l’America per diversi motivi. È una regione dove inevitabilmente convergono gli interessi di Africa, Asia ed Europa. È una stazione di passaggio strategica per i collegamenti aerei e per il trasporto tra Asia ed Europa. E, non ultimo, è qui che sono concentrate le forniture mondiali di energia del mondo. Poi, naturalmente, c’è anche l’aspetto più “appariscente”; si tratta infatti del punto di origine delle tre religioni monoteistiche e massimo luogo di contesa in questo senso.
La libertà di transito in Medio Oriente è basilare per la capacità degli Stati Uniti di proiettare ancora la sua potenza militare in tutto il mondo. E la cooperazione con i Paesi della penisola araba è necessaria per il sorvolo dei suoi aerei militari e per il passaggio attraverso il Canale di Suez. E l’ostilità delle relazioni con l’Iran, rendono Arabia Saudita ed Egitto il cardine logistico militare USA nella zona, ecco spiegato il comportamento di Trump a Riad anti-Iran e pro Arabia Saudita.
Inoltre tutti i partner mondiali contano sulla forza – anche e soprattutto militare – degli USA per garantire l’accesso globale al Golfo Persico e alle sue forniture energetiche, che costituiscono circa il 28% della produzione mondiale di energia. E, di fatto, l’unico difensore all’accesso di tali risorse è proprio l’America, per un servizio che continua a fornire gratuitamente all’economia internazionale, non chiedendo ai principali consumatori di queste esportazioni – Cina, UE, India, Giappone e Corea – di assumere o anche di condividere l’onere di garantire la propria sicurezza energetica. E questo è un aspetto che a una certa intellighenzia americana non piace.
Non piace, per esempio, a Chas W. Freeman – sempre lui (ah, ma non vi ho ancora detto che oltre a essere un diplomatico di lungo corso e grande esperto di relazioni internazionale è anche un mio buon amico) – che dice: gli USA, a vario titolo, sono attualmente impegnati in azioni militari in Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia, Siria, Yemen, senza dimenticare il guazzabuglio dove in qualche maniera sono invischiati con la CIA nel Sahel contro i movimenti islamici estremisti e transnazionali. E in nessuno di questi contesti si vede la luce in fondo al tunnel. Freeman, allora, si domanda: queste guerre non sono state autorizzate dal Congresso, avendole soltanto tollerate con negligenza. È quindi ora che esso si chieda quando e come si concluderanno, quali sono gli obiettivi dell’America e se questi obiettivi sono fattibili.
Segue e termina giovedì 1 giugno.

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