Un diverso punto di vista. La globalizzazione secondo lo sguardo di chi la sfrutta pienamente.

Riprendiamo il discorso del Forchielli della Sera del 20 giugno sulle considerazioni del mio caro amico Kishore Mahbubani, stimato professore di “public policy” alla prestigiosa Lee Kuan Yew School presso la National University of Singapore, in merito a una discussione messa in moto dal giornalista dell’Huffington Post, Nathan Gardels, che gli aveva chiesto una serie di quesiti riservati su globalizzazione, immigrazione, crescita cinese, presidenza Trump e Brexit. Tutte risposte sincere e poco diplomatiche.
L’evoluzione della globalizzazione è inevitabile, diceva Kishore Mahbubani nello scorso FdS. Stesso discorso per l’immigrazione. Con la fine del dominio occidentale, le popolazioni non possono non diventare multiculturali. Anche Singapore, nel suo piccolo e nei suoi privilegi, ha avuto la sua “Brexit”. È accaduto nel 2011. Nel tentativo di alimentare la crescita economica, il governo ha portato troppi migranti troppo in fretta. Ma la lezione è stata imparata velocemente. Ogni società deve trovare un equilibrio naturale tra l’accesso dei migranti per proteggere la propria identità culturale e la loro integrazione per promuovere la crescita economica. Una buona gestione politica dev’essere in grado di risolvere questo problema.
D’altronde la causa principale di molti problemi dell’Occidente è dovuta alla sua classe politica. Il multilateralismo è la via ma i politici la temono. Ogni regione deve avere più scelte. L’America Latina non può più essere soggetta alla sola influenza americana dettata dalla “Dottrina Monroe”. Lì i collegamenti commerciali e gli investimenti cinesi diventeranno importanti come quelli in Africa. Le sfere di influenza esclusiva scenderanno con il crescere della globalizzazione e il mondo sarà sempre più “piccolo” e interdipendente.
Anche perché una partnership economica tra America e Cina sarebbe la soluzione ottimale. La prima è ricca di tecnologie, ha una classe media ricca e ha un disperato bisogno di nuove infrastrutture. La seconda ha una “montagna” di capitale da investire e ha sviluppato capacità di costruzione di infrastrutture a livello mondiale. Se USA e Cina, anziché essere due Paesi, fossero due società, avrebbero già fatto una ovvia partnership economica. Mentre la geopolitica impedisce questa naturale cooperazione economica. Però un nuovo partenariato per le infrastrutture è il miglior ponte tra i due Paesi. Gli USA devono rimanere un importante mercato per i prodotti cinesi e la Cina deve poter continuare a inviare centinaia di migliaia di giovani cinesi a studiare nelle università americane. Inoltre sarebbe fondamentale che iniziassero a collaborare su questioni geopolitiche, come, per esempio, la gestione della Corea del Nord.
Come ha detto Xi Jinping, dinanzi alla presentazione di OBOR (“One Belt, One Road”): “Il commercio è un motore importante per guidare la crescita: dobbiamo abbracciare il mondo esterno con mente aperta, sostenere il regime multilaterale di scambio, promuovere la costruzione di aree di libero scambio e promuovere la liberalizzazione e facilitare il commercio e gli investimenti”. Qualsiasi leader occidentale non può che essere d’accordo. Perciò la vera domanda da porsi è se i leader nazionalisti alla Trump possano realmente comprendere il “piccolo” mondo integrato che sta arrivando e agevolarlo o se, invece, ingenuamente arroccati su antiche glorie perdute, saranno ostacolo al progresso e quindi all’inevitabile declino del loro stesso Paese.
Anche in questo caso la questione è semplice. Se Trump continuerà a guardare il futuro attraverso lo specchietto retrovisore, il problema sarà degli americani, che si comporteranno come i canadesi, che hanno scelto Justin Trudeau al posto di Stephen Harper e come i francesi, che hanno mandato a casa Francois Hollande, sostituendolo con Emmanuel Macron. Dobbiamo essere pazienti e aspettare il cambiamento.
Mentre il risultato paradossale di Brexit è che il Regno Unito dovrà ricostruire i suoi legami economici con il resto del mondo e cercare nuovi mercati globali per sostituire le perdute opportunità economiche che aveva all’interno della UE. Quindi, nonostante gli sforzi per ricostruire una forte identità britannica, il Regno Unito finirà per creare una realtà più globalizzata adesso di prima e sarà proprio il business a stemperare la retorica nazionalista. Verso un mondo sempre più “piccolo” e connesso. Merito della globalizzazione. Allora, mica male il mio amico Kishore Mahbubani, o no?
 
Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *