Il voto in UK: una risposta dei figli al “tradimento” dei padri sull’Europa, ma anche alle preoccupanti tendenze della politica mondiale.

La zoppa Theresa arranca verso la nuova legislatura con un braccio dietro la schiena, poggiandosi su una stampella di cartapesta <Made in Northern Ireland> (i 10 ultraconservatori dell’’UDP) unico appiglio disponibile per tirare avanti. Il braccio dietro la schiena lo hanno afferrato i vertici del partito conservatore e i colleghi di governo, per iniziare a torcerlo. La signora “Strong & Stable” (forte e stabile, come ha ripetuto meccanicamente alla nausea per tutta la campagna) è stata costretta ad andare in tv a chiedere scusa: al partito, gli attivisti, i ministri che hanno perso il seggio (10), i candidati bocciati. Con voce tremula ha ammesso che “of course” dovrà riflettere su quanto è successo. Viene in mente Stanlio quando Ollio sbotta: “Mi hai cacciato in un altro bel pasticcio!”. Un altro giro al braccio, e May ha confermato i cinque ministri chiave della precedente gestione, da Johnson al titolare delle finanze Hammond, che aveva rinchiuso nella torre di Londra per tutta la campagna elettorale, dopo lo scontro di marzo sulle misure fiscali del nuovo bilancio. Così Theresa la zoppa resta al 10 di Downing Street. Alle dimissioni, nonostante il fiasco elettorale sia totalmente colpa sua, non ha pensato un attimo. In questo momento i Tories non hanno altri sbocchi pronti, e lei va avanti, “Weak and wobbly”, debole e traballante, fino alla prossima puntata. Lo schieramento dei papabili comprende i soliti noti, con Boris Johnson in pole. Johnson e gli altri non smaniano per prendere una squadra in corsa, tantomeno in odore di retrocessione. Il processo di successione al leader prevede una contesa elettorale interna di circa tre mesi. Vedremo cosa arriva prima, e quando: un nuovo passo falso della premier o la defenestrazione. O la crisi di governo, se gli anti aborto, anti unioni gay, scettici del global warming dell’UDP non si accordano sull’appoggio esterno. Col passare delle ore il ricorso all’UDP rivela potenziali disastrosi, soprattutto per il processo di pace in Irlanda del Nord. Finora il governo di Londra è stato neutrale tra le due parti, il patto con l’UDP rischierebbe di compromettere tutto. Per ora avanti con la zoppa, il 18 giugno o quando sarà, per il primo incontro con l’Europa al tavolo del Brexit. Un Brexit nient’affatto hard come insisteva l’orrenda campagna perdente del “Team May”. La rabbia dei Tories è la rabbia della City, del mondo economico. Di tutto avevano bisogno tranne che di incertezza. Theresa aveva pochi amici negli ambienti finanziari e industriali, adesso ha schiere di nemici, che le rinfacciano di aver deciso le elezioni anticipate senza sentirli. Si tenesse un nuovo referendum
europeo domani vincerebbe il Remain. Più passa il tempo e più gli inglesi (salvo lo zoccolo duro anti EU) si sentono oppressi dalla cappa dell’incertezza, e più si convincono che il Brexit è un salto nel buio. Ma sarebbe soprattutto la valanga del voto giovane a far cambiare il risultato. Quella valanga che ha spinto Jeremy Corbyn nella clamorosa rimonta.
May ha ottenuto il 42.4 % dei voti, (+5,5%) corrispondente al più alto numero di suffragi a favore dei Tories dall’elezione di Margareth Thatcher nel ’79. Eppure non le è bastato per la maggioranza assoluta, con l’incremento di 9,5% che ha proiettato il Labour al 40. Un 9,5 targato 18-25, la fascia d’età che stavolta ha deciso di presentarsi alle urne, dopo averle disertate alle politiche 2015 e al referendum Brexit. Una risposta dei figli al “tradimento” dei padri sull’Europa, ma anche alle preoccupanti tendenze della politica mondiale: Theresa mano nella mano con Trump. Soprattutto i giovani sono stati trascinati da Jeremy Corbyn. “Jezza (Jeremy per gli amici) ci ha spinti alle urne”. Lo proclamano in tantissimi, studenti e non, sottolineando l’effetto Sanders dell’outsider laburista. Hanno mancato la vittoria, ma sono tornati militanti, e alla prossima occasione potenzieranno l’attivismo esercitato in primis sui social per far sentire il loro peso elettorale. Corbyn li ha conquistati, prima ancora che col programma, perché è stato capace di farli sperare e sognare, come solo sanno sperare e sognare i giovani.
 

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