Un piano Marshall per l'Africa

Un piano Marshall per l’Africa? Se ne parla molto mentre aumenta in Europa la coscienza di come nel lungo periodo l’ondata migratoria proveniente da quel continente sia inesorabilmente destinata a crescere, a dispetto di ogni tentativo di contenerla.
Ed è logico che così avvenga, almeno sino a quando fra Europa ed Africa continuerà a sussistere quel differenziale di sviluppo che porta i disperati di oltre mare ad identificare nelle nostre sponde l’unica speranza di un futuro diverso. In simili condizioni l’unica possibile alternativa consisterebbe nell’innescare un processo di sviluppo “in loco”  che coinvolga per lo meno tutti i paesi della fascia Sahelica e delle aree adiacenti associandoli a qualcosa di molto simile a quel Piano Marshall con cui gli Stati Uniti porsero la propria mano ad una Europa devastata dalla guerra per aiutarla a risollevarsi in tempi relativamente brevi. Possibile?
Certo, ed in effetti l’Unione Europea ha già compiuto qualche passo in quella direzione.   Di sicuro però tutt’altro che facile. Le risorse dell’Europa non sono infatti infinite e per di più l’Unione esce soltanto adesso da una crisi economica che ha avuto lunga durata e particolare durezza. Inoltre dall’ultimo grande allargamento in poi i beneficiari di quanto essa poteva impegnare nell’aiuto allo sviluppo sono stati i paesi ex comunisti di recente adesione. Per disporre di somme adeguate da investire sull’Africa in questo momento occorrerebbe così considerare conclusa la fase di sviluppo dei membri più recenti dell’Unione, dirottando sul continente nero quel surplus di cui essi a tutt’oggi stanno ancora usufruendo. Un provvedimento ben difficile da far approvare! Sarebbe necessario  allora ricercare altri partners disposti ad investire massicciamente scommettendo sul futuro di questo “piano Marshall africano”.
Difficile però reperirli nel momento attuale. I maggiori candidati , gli Stati Uniti , la Cina ed i paesi della Penisola Arabica, sembrano infatti avere ben altre priorità od essere impegnati su strade diverse. Il nuovo Presidente americano si è infatti ritrovato, a  pochi mesi dalla sua elezione, prigioniero di un inestricabile nodo gordiano di problemi di sicurezza  difficilmente risolvibili . Nella incombente prospettiva di un possibile scontro con la Corea del Nord, il fuoco della attenzione americana appare così centrato più sulla sicurezza che sullo sviluppo internazionale. La Cina dal canto suo è già impegnata nel grandioso progetto “One Road One Belt”, che drenerà per venti anni buona parte delle sue risorse e toccherà  l’Africa soltanto marginalmente.
Quanto ai paesi arabi, in particolare Arabia Saudita ed Emirati, essi si ritrovano in questo periodo impegnati su vari fronti in una lotta che ha come posta la supremazia nel mondo islamico. Sembrano inoltre considerare l’intera Africa nera unicamente come fonte di materie prime. In conclusione, anche se ci fosse, l’impegno di Stati Uniti, Cina e Paesi del Golfo Persico risulterebbe, se non marginale, per lo meno insufficiente, anche se associato a quello della UE.
Rimane, quale ultima speranza, la possibilità di una azione veramente corale guidata dalle Nazioni Unite, che sarebbero tra l’altro proprio la sede ideale per la gestione di un piano della portata necessaria. Soltanto l’ONU riveste infatti carattere di piena universalità , disponendo inoltre  della capacita di coprire , grazie all’attività delle sue numerose Agenzie, i più svariati settori di azione. Le Nazioni Unite appaiono però in questo momento in preda ad una forte crisi che ne inficia le possibilità di azione. Possiamo sperare che “il piano Marshall per l’Africa” costituisca per loro una occasione di riscatto?  E possiamo altresì sperare che anche  l’Africa stessa cooperi, occupandosi finalmente di quelle sue piaghe che se non curate all’origine potrebbero vanificare qualsiasi piano, anche il più splendidamente concepito?
 
Articolo pubblicato su La Stampa 

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