Le élite di domani. Si costruiscono nelle università di oggi.

Come la seconda parte del Diciottesimo secolo viene identificata con la Rivoluzione industriale, il nostro tempo verrà ricordato come rivoluzionario in materia di istruzione di terzo livello. La Cina, infatti, come numero di laureati ha superato sia gli Stati Uniti che l’Europa ma con 78 milioni di laureati è l’India che ne ha “sfornati” più di qualsiasi altro Paese al mondo. Il podio dei Paesi con più laureati è inoltre composto da Cina (77,7 milioni) e USA (67,4 milioni), per un divario tra secondi e terzi che si allarga costantemente viste le stime al 2030: il numero di laureati cinesi di età compresa tra 25 e 34 anni aumenterà del 300% rispetto ad appena il 30% di Stati Uniti ed Europa (dati World Economic Forum).
Con un altro paio di numeri di pragmatica lucidità che impressionano. Il primo è che i laureati in materie scientifiche, racchiuse nell’acronimo inglese STEM (che sta per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), già nel 2013 per i cinesi rappresentavano il 40% del totale, oltre il doppio della quota nelle istituzioni americane di terzo livello, ancora troppo intasate da umanisti e avvocati. Il secondo è che nella specificità delle scienze staminali, la Cina, nel 2016, ha avuto 4,7 milioni di neolaureati, l’India 2,6 milioni mentre gli USA “soltanto” 568mila (tutti dati World Economic Forum).
Dinanzi a un quadro così competitivo a livello globale, quale università scegliere per trovare lavoro e fare carriera, possibilmente all’estero?
Chiaramente ci sono elementi extra da valutare: distanza da casa, costi, famiglia, amici e divertimento sono certamente fattori da mettere sulla bilancia per fare una buona scelta dell’università. Però, prima di tutto, c’è il fatto che stai andando a studiare. Allora il tema prioritario diventa la qualità dell’insegnamento all’università. Annualmente vengono pubblicate classifiche delle università italiane che possiamo utilizzare per farci un’idea degli indicatori che in base alle nostre esigenze ci stanno più a cuore ma in ogni caso nessuno degli atenei italiani è nei primi cinquanta posti delle varie classifiche mondiali (in molti casi nemmeno nei primi cento). L’eccezione è Milano – per il management la Bocconi è 25esima e per ingegneria il Politecnico è 31esimo – che comunque non si attesta in posizioni di rilievo.
Perciò va considerata la possibilità di studiare all’estero, a patto però di scegliere una facoltà blasonata e riconosciuta a livello internazionale, perché studiare lontano da casa solo per poter dire di averlo fatto non dà alcun valore aggiunto al titolo. Anzi, rischia solo di rendere ancora più complessa la successiva ricerca del lavoro, poiché non sempre i titoli di studio ottenuti all’estero sono riconosciuti dal sistema italiano.
Soprattutto bisogna rendersi conto che a ogni titolo di studio corrispondono diverse aspettative lavorative. In pratica si dovrà capire cosa fa realmente al caso nostro, perché non c’è un “meglio” e un “peggio” in senso assoluto, e che la scelta dell’università è il risultato della valutazione delle competenze che vogliamo acquisire e del lavoro al quale aspiriamo.
Dopo, ottenuta la laurea, non bisogna assolutamente pensare di avere ottenuto anche il diritto ad avere un lavoro, tantomeno uno attinente a ciò che abbiamo studiato. È solo venuta l’ora di iniziare a lottare – speriamo ad armi pari – con indiani, cinesi e americani!
Difatti se si decide di cercare lavoro all’estero, tocca ricordare di stare molto attenti quando si avrà a che fare con le offerte di lavoro: bachelor in electronics, software developer Java, mechanical engineer e così via. Molte volte basta tradurre il proprio titolo di laurea ed è fatta: è proprio lui, il titolo, l’unico vero collegamento con il lavoro. Altre invece ci si accorge che i contenuti richiesti nei dettagli dell’offerta di lavoro sono totalmente diversi da quelli affrontati nel proprio percorso di studi. Allora addio al valore legale del titolo, perché alla fine conterà solo quanto si è studiato e le proprie competenze, più del titolo accademico.
Con un presupposto che fa sorridere: la maggior parte dei datori di lavoro è insoddisfatta del livello di competenza e capacità della propria forza lavoro.
Quindi, forse, una possibilità ancora c’è!
 
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