La Politica Estera Indiana In Asia Meridionale

Scritto da Sauro Mezzetti, pubblicato su “AREL la rivista” | NEMICO numero 3/2019 

La politica estera indiana e’ tradizionalmente caratterizzata da una forte concentrazione sulle problematiche regionali in Asia Meridionale e Centrale, con forti esigenze di sicurezza e difficili rapporti di vicinato, spesso ostili, che hanno portato a cinque guerre nel corso di cinquant’anni – quattro con il Pakistan (1948-1965-1971-1999) e una con la Cina (1962) – e frequenti tensioni di confine con entrambi i paesi anche di recente. Pure i rapporti con gli altri paesi della regione sono condizionati da questa dinamica, soprattutto per la forte presenza cinese in termini di assistenza tecnica, politiche di aiuto, crediti e investimenti infrastrutturali, oppure sono soggetti di tensioni bilaterali come la tutela delle minoranze tamil in Sri Lanka, o problematiche relative all’immigrazione con il Bangladesh e il Nepal.

Un vecchio assunto dell’ Arthashastra, uno dei piú antichi trattati politici – scritto in India nel secondo secolo a.C. – sostiene che lo stato vicino rappresenti un potenziale nemico e che il vicino del vicino sia, invece, un potenziale alleato. Si tratta di una logica che sembra condizionare la politica contemporanea in Asia Meridionale, che, fino al momento dell’Indipendenza, nel 1947, era una regione fortemente integrata, ma oggi – anche a causa di una spartizione del continente effettuata su basi religiose – rappresenta una delle aree di maggior tensione intraregionale.

Di recente con il Primo Ministro Narendra Modi la politica estera indiana ha preso un respiro globale, ma le preoccupazioni regionali, caratterizzate anche dal confronto di tre potenze nucleari rimangono in primo piano.

La politica estera indiana aveva conosciuto anche un’altra fase di ambizioni globali, subito dopo l’Indipendenza, con il Primo Ministro Jawaharlal Nehru. Per buona parte degli anni cinquanta l’India assunse la leadership nella costituzione del movimento dei non allineati, dei paesi emergenti che uscivano dal colonialismo o che cercavano autonomia rispetto ai due blocchi contrapposti della Guerra Fredda. L’Indonesia di Sukarno, la Jugoslavia di Tito, l’Egitto di Nasser furono tra i principali interlocutori di questa politica che aveva un’attenzione particolare anche per la Cina. La conferenza di Bandung del 1955 che diede inizio al processo di costituzione del movimento dei paesi non allineati – poi formalizzato a Belgrado nel 1961 – fu il punto culminante di questa politica.

Tuttavia, la visione di Nehru subí un duro colpo dalla guerra con la Cina del 1962 per una questione di confini. Pochi anni dopo, una nuova guerra che l’India sostenne nel 1965 col Pakistan, porto’ la dimensione regionale a divenire il maggior focus della politica estera.
La guerra del 1965 era iniziata a seguito di sconfinamenti militari pakistani, che contavano anche sull’incerta situazione politica in India a seguito della sconfitta con la Cina e della scomparsa di Nehru (1964). L’India rispose in maniera vigorosa con una piena campagna militare e il conflitto si concluse una mediazione delle Nazioni Unite e un accordo di cessate il fuoco firmato a Tashkent in Unione Sovietica nel gennaio 1966. Il primo ministro indiano Lal Bahadur Shastri, mori’ poi di arresto cardiaco il giorno successivo alla firma dell’accordo mentre si trovava ancora a Taskent. Indira Gandhi divenne quindi Primo Ministro in un quadro generale caratterizzato non solo da due crisi belliche, ma anche da una crisi economica e una crisi alimentare (1966-67), che rischio’ di diventare una semi-carestia nello stato del Bihar, nel Nord del paese.

A partire dagli anni sessanta, le logiche regionali presero, quindi, il sopravvento in politica estera. Pur rimanendo un paese leader del movimento dei paesi non allineati l’India si avvicino’ sempre più all’Unione Sovietica anche in contrapposizione al crescente sostegno degli Stati Uniti al Pakistan che si manifestò pure in occasione della guerra di liberazione del Bangladesh (1971), e poi in misura sempre crescente dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Il Pakistan divenne, infatti, il principale sostegno politico e militare alla guerriglia Afghana e alle opposizioni contro il governo filo sovietico di Kabul. In questo periodo, sotto la dittatura militare del generale Zia Ul Haq (1977- 88), avvenne anche un’accentuazione dell’islamizzazione del Pakistan che ha contribuito a radicalizzare ulteriormente le relazioni con l’India.

Per tutti gli anni ottanta l’India ha offerto sostegno e cooperazione al regime di Kabul, e’ stato anzi l’unico paese dell’Asia Meridionale a riconoscerlo diplomaticamente.

L’Afghanistan condivide da secoli uno spazio di civiltà comune con Pakistan ed India, e nel 2007 e’ entrato anche a far parte della SAARC, l’organizzazione di cooperazione regionale dei paesi dell’Asia Meridionale.
In Afghanistan si gioca e si continua a giocare una partita complessa; il Pakistan appoggia principalmente i Talebani e l’etnia Pashtun, mentre l’India appoggia altre etnie e raggruppamenti e ha offerto un forte sostegno di cooperazione economica anche ai governi che si sono succeduti a Kabul dopo la caduta del primo regime Talebano.

Negli ultimi due decenni della Guerra Fredda la politica estera in Asia Meridionale si e’ sempre più cristallizzata in supporto sovietico all’India e supporto Americano al Pakistan, anche in funzione della situazione in Afghanistan.

La fine del Blocco Sovietico – che rappresentava anche il principale partner commerciale – ha coinciso, non solo con l’indebolimento del supporto strategico, ma anche con una grave crisi economica, nel 1991, da cui l’India e’ uscita dopo un intervento del Fondo Monetario Internazionale e una politica di riforme strutturali che hanno rilanciato la sua economia. In concomitanza con la politica di riforme e’ avvenuta anche una graduale distensione dei rapporti con gli Stati Uniti fino a prendere i contorni di una vera alleanza strategica nel corso di questo inizio di secolo. L’attentato dell ’11 settembre e la posizione del Pakistan rispetto al movimento talebano, oltre all’incapacitá di controllare i movimenti islamici radicali nel suo territorio, hanno contribuito a raffreddare le relazioni tra Pakistan e Stati Uniti.

Nel 2008, invece, gli Stati Uniti hanno siglato con l’India un tratto di cooperazione per il nucleare civile, non senza controversie perchè l’India non e’ tra i paesi firmatari del trattato di non proliferazione nucleare. I rapporti tra India e USA si sono rinsaldati anche in considerazione dell’ascesa della Cina come superpotenza globale e si sono ulteriormente rafforzati con l’amministrazione Trump, nonostante alcune tensioni commerciali. Vi sono anche buone relazioni personali tra il presidente americano e il primo ministro indiano Narendra Modi. In un evento pressochè unico nel protocollo di stato americano, sia il presidente Trump che il premier Indiano Modi hanno effettuato nello stadio di Houston, nel settembre 2019, un indirizzo congiunto di fronte a 50.000 cittadini di origine indiana residenti negli USA.

Nonostante il riavvicinamento con gli Stati Uniti, l’India mantiene relazioni importanti anche con la Russia di Putin, sia sul piano commerciale che nella difesa, continuando la tradizione avviata ai tempi dell’Unione Sovietica. In qualche modo l’India e’ tra i pochi grandi paesi che riescono a mantenere forti legami con entrambe le due superpotenze storiche.

L’India ha abbandonato un certa tendenza – degli anni post-nehruviani-a circoscrivere la politica estera all’Asia Meridionale. Le relazioni sono molto forti col Giappone di Shinzo Abe, con cui sono state effettuate anche manovre militari congiunte, nel tentativo di costituire un asse in Asia che faccia da contraltare alla Cina. All’inizio degli anni novanta l’India ha anche riconosciuto Israele con cui ha avviato programmi di cooperazione spaziale, agricola e nella difesa. Il riconoscimento di Israele, avvenne dopo una visita di Arafat a Delhi nel gennaio 1992, che in qualche modo ha facilitato questa svolta nella politica estera indiana consentendo di mantenere, al tempo stesso, buone relazioni col mondo arabo che continuano tuttora. Un caso particolare e’ anche quello dell’Iran, che e’ storicamente uno dei principali partner commerciali indiani e uno dei principali fornitori di petrolio. L’India sta investendo in Iran, nella costruzione del porto di Chabbar, importante anche per ottenere un accesso commerciale all’Afghanistan, dove anche all’Iran ha interessi e alleanze contrarie a quelle del Pakistan e più affini a quelle dell’India.

Dopo la crisi economica del 1991 l’India ha attivato anche una Look East Policy, una politica di attenzione ai paesi del sud-est asiatico, perseguita da tutte le coalizioni che si sono alternate al governo in questi anni.Si tratta di un’azione intrapresa con obiettivi economici che hanno portato a un notevole rafforzamento nella cooperazione commerciale, industriale e gli investimenti, ma che ha assunto anche in questo un caso un elemento di contraltare all’influenza cinese. Il sud-est asiatico che nell’antichità e nel medioevo aveva una forte influenza culturale indiana, e’ stato attratto negli ultimi decenni sempre più nell’orbita cinese.

I rapporti economici sono molto forti con Singapore che e’ il principale investitore estero in India e anche la destinazione degli investimenti di 5000 imprese indiane. Sul piano politico, oltre che quello economico, l’India ha una forte intesa con il Vietnam e le Filippine soprattutto per quanto riguarda il contenzioso storico di questi paesi con la Cina nelle acque del mar cinese meridionale.

L’India ha allargato i propri orizzonti di politica estera ed economica anche all’Africa e attivato rapporti di cooperazione tecnica, aiuto allo sviluppo, aiuti finanziari. Da paese recipiente di aiuti, l’India si e’ trasformata negli ultimi anni in paese donatore, soprattutto in Africa e alcune parti dell’Asia. Si tratta di regioni in cui anche l’intervento cinese e’ consistente.

Un discorso particolare merita la Cina che e’ interlocutore sia globale che regionale all’interno dell’ Asia Meridionale.
Mentre l’India condivide i confini occidentali con il Pakistan, la Cina e’ l’altro grande vicino nella parte Nord-Orientale con confini, talvolta contesi, di oltre 3000 km. Anche se non e’ geograficamente parte dell’Asia Meridionale rappresenta comunque un interlocutore importante nella regione. E’ l’alleato più forte e sicuro del Pakistan, che la Cina appoggia in ogni contesto internazionale, o di cui tiene conto degli interessi. A prescindere da questo la Cina ha attuato una politica di interventi e investimenti infrastrutturali anche negli altri paesi della regione, in Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e le Maldive oltre che in Pakistan generando in India timori di accerchiamento e apprensioni per il proprio sistema di sicurezza.

La politica indiana nell’Asia Meridionale e’ caratterizzata da una tacita dottrina Monroe, si tratta dopotutto di un territorio in gran parte integrato fino a pochi decenni fa- diviso dai processi di decolonizzazione – e ogni intervento di paesi terzi, in particolare se si tratta di potenze globali come la Cina, sono visti dall’India con grande preoccupazione e come un’interferenza. D’altro canto c’é un grosso divario come potenza politica ed economica tra l’India e la maggior parte dei paesi dell’Asia Meridionale e per questo, negli ultimi anni, si e’ manifestata anche una tendenza, da parte di questi ultimi, a controbilanciare con la cooperazione cinese.

A prescindere dalle questioni di geopolitica locale, l’India ha anche un contenzioso con la Cina per i confini che dura da decenni. Nel 2018 vi sono stati anche forti tensioni nella regione di Doklam, in un’area che la Cina contende al Bhutan che hanno fatto richiamare i toni della guerra del 1962.

Nonostante questo terreno di competizione, negli ultimi anni la cooperazione economica e il commercio sino-indiano sono incrementati in misura ragguardevole e anche sul piano politico i due paesi tentano di avere relazioni equilibrate negli scenari globali. Sono entrambi tra i fondatori della Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB) e i due principali azionisti. Di recente,

nel 2017, la Cina ha invitato l’India a far parte, assieme al Pakistan del Patto di Shanghai (SCO, Shanghai Cooperation Organization), la conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Asia Centro-Settentrionale che raggruppa anche la Russia e i paesi dell’ex Asia Sovietica.

E’ interesse per entrambi i paesi non premere sull’acceleratore delle tensioni, per ragioni economiche e, da parte cinese, per evitare di creare un asso trilaterale in Asia tra USA, Giappone e India.
Le crisi ricorrenti tra India e Pakistan fungono comunque da variabili impreviste nelle relazioni tra India e Cina che sostiene, comunque, in maniera strategica il proprio alleato nel subcontinente.

Le ragioni per cui, dopo oltre settant’anni, non vi sono relazioni normali tra India e Pakistan, sono diverse ma si possono in gran parte ascrivere ai processi di decolonizzazione, alla maniera repentina e impreparata con cui venne eseguita la spartizione e la creazione di diverse entità statali.

Gran parte di quella che oggi costituisce l’Asia Meridionale corrisponde all’India antica, Bharatavarsha, una civiltà comune in cui si sono sostrate varie culture e valori. Accanto all’idea di una distinzione per la diversità religiosa, esiste anche la coscienza di un comune passato che rende difficile accettare che una separazione sia avvenuta.

Non esiste, infatti, una storia separata tra India e Pakistan, entrambi i paesi hanno un percorso comune lungo un arco di migliaia di anni. Il termine stesso Pakistan e’ stato coniato solo di recente, nel 1933, da uno studente di Cambridge, Choudhry Ramat Ali, che elaborò uno schema politico con la possibilità di creare una macro-regione, nella parte Occidentale dell’India Britannica, dove la popolazione aveva una maggioranza musulmana. Il termine Pakistan era un acronimo che indicava le principale etnie regionali che avrebbero dovuto far parte di questo raggruppamento e coincideva in lingua urdu anche con la definizione del ” paese dei puri”.

Per qualche anno lo schema fu largamente ignorato, finche’ nel 1940, con la risoluzione di Lahore divenne la principale rivendicazione della Lega Musulmana , fino alla sua realizzazione, nel 1947, con conseguenze non sempre previste.

La divisione su base religiosa di regioni, come il Punjab e il Bengala, che condividevano altrimenti lingua e interessi comuni provoco’ migrazioni, sradicamento, perdite di beni economici, violenze e massacri.
Nel subcontinente le memorie di questi eventi sono ancora vive e persistenti, cosí come le memorie della seconda guerra mondiale in Europa, anzi, in maniera più incisiva, perché molte famiglie e persone hanno le proprie radici dall’altra parte del confine.

Per l’India che ha una visione quasi sacrale della propria unita’ e un forte patriottismo territoriale, si tratta di una ferita mai sopita e pienamente accettata.

Il Pakistan e’ uno stato eterogeneo, composto da lingue e etnie regionali diverse. La costituzione di uno stato islamico e’ il collante che ha giustificato la sua creazione e la diversità con l’India ne rappresenta un elemento importante; il fatto di non essere indiani rappresenta un elemento di definizione della nazionalita’.

Questi fattori, da parte Indiana e Pakistana, rendono difficile una normalità di relazioni. Eppure al momento della spartizione c’erano anche aspettative diverse. Il padre fondatore del Pakistan, Mohammed Ali’ Jinnah, aveva dichiarato in una circostanza di intravedere che le relazioni tra India e Pakistan potessero simili a quelle tra USA e Canada, con un lungo confine terrestre, demilitarilizzato e grande integrazione commerciale. Tuttavia il clima di violenza e il bagno di sangue con cui avvenne la spartizione ha indotto la storia in altre direzioni. Agli inizi del 1948, prima di essere assassinato, Gandhi ipotizzava di trasferirsi in Pakistan, e ci si può chiedere se gli eventi avessero potuto prendere altre direzioni. Pochi mesi dopo Gandhi, scomparve anche Jinnah, il fondatore del Pakistan, cui fece seguito nel 1951 l’assassinio del suo successore Liaquat Ali Khan e l’uscita di scena di altri dirigenti della Lega Musulmana che avevano svolto un ruolo determinante nella creazione del paese. Mentre in India si sarebbe consolidata una democrazia, in Pakistan si e’ creato un sistema con una forte egemonia dell’apparato militare.

Nel 1947, la spartizione e’ avvenuta assegnando al Pakistan il 19% della popolazione, il 17 % delle risorse economiche e il 33 % dell’esercito dell’ex India Britannica. Secondo Hussain Haqqani – un ex diplomatico e pubblicista pakistano l’esercito aveva dimensioni sproporzionate rispetto alle minacce alla sua sicurezza e, anzichè creare un esercito proporzionale alla minaccia, si e’ creato una minaccia proporzionale all’ esercito. Mentre l’India approvo’ una costituzione, nel 1950, poco più di due anni dopo l’Indipendenza, in Pakistan – forse anche per la prematura scomparsa o uscita di scena di gran parte della leadership fondatrice – il processo democratico procedette in maniera più frammetaria e si riuscí ad approvare una costituzione solamente nel 1956, che, pero’, venne abrogata due anni dopo da un colpo di stato militare guidato dal Generale Ayub Khan. La minaccia indiana divenne quindi una componente importante per legittimare il ruolo dell’esercito. Negli anni cinquanta era ancora possibile ipotizzare uno scenario di relazioni normali tra i due paesi. Nehru visitò il Pakistan due volte, nel 1953 e nel 1960, la seconda per firmare un trattato sulle acque del fiume Indo, ancora oggi in vigore. Ma la debolezza e crisi dell’India in seguito alla guerra con la Cina del 1962 convinse i militari a tentare un’azione di forza che generò poi il conflitto del 1965. Da quel momento le relazioni indo-pakistane si sono inasprite senza avere conosciuto significative inversioni di tendenza. Per qualche anno dopo la spartizione c’era stata libertà di movimento tra i confini, fino al 1951 quando venne introdotto il sistema dei passaporti. Si poteva pero’ viaggiare tra i due paesi senza necessità di visto, finchè questa disposizione venne introdotta nel 1965, una data che rappresenta in un certo modo uno spartiacque nei rapporti tra i due paesi.

Ci sono state da allora altre due guerre e anche tentativi di ripresa del dialogo con gli accordi di Shimla nel 1972 e quattro fasi di dialoghi tecnici per la limitata apertura di confini terrestri, una parte dei quali sono ancora in corso a settembre 2019. Nel complesso, pero’, nonostante alcuni fasi di apertura,le relazioni tra i due paesi sono molto irrigidite.

La proliferazione di gruppi militanti islamici che e’ avvenuta in Pakistan a partire dagli anni ottanta ha contribuito ha mantenere alta la tensione e a far percepire il Pakistan come l’origine di molti episodi di terrorismo che sono avvenuti in India. In particolare gli attentati del 26 novembre 2008 a Mumbai, rappresentano un evento e una data che per gli indiani e’ paragonabile alla maniera in cui viene percepito l’11 settembre negli USA. La loro responsabilità viene attribuita a Lakshar-e-Taiba un’organizzazione islamica insediata in Pakistan.

Anche le tensioni e la violenza in Kashmir a partire dagli anni Novanta viene attribuita all’opera di militanti e organizzazioni con base in Pakistan.
Per questi motivi l’Asia Meridionale e’ una delle regioni con le spese militari tra le più alte al mondo, che per il Pakistan corrispondono al 4 % del Pil e per l’India al 2,4 %. La spesa militare indiana, nel 2018. e’ stata superiore a quella della Francia e due volte mezzo quella dell’Italia.1

Alle radici e nella storia del subcontinente c’era un’unità di fondo, che gli eventi degli ultimi 70 anni sembrano aver trasformato in ferite difficili da rimarginare e tensioni difficili da ricomporre. E’ per certi versi un conflitto anomalo, nato da quella che fu definita da Gandhi “un membro della joint-family che se ne’ andato”, che sfugge per la sua comprensione a molti dei parametri convenzionali della diplomazia.

1 – https://data.worldbank.org/indicator/ms.mil.xpnd.gd.zs

Leggi anche “Migrazioni, cultura e territorio: il cammino verso la Nazione indiana”, di Sauro Mezzetti pubblicato su “AREL la rivista” numero 2/2019 dal titolo STRANIERO ?

Migrazioni, cultura e territorio: il cammino verso la Nazione indiana