La Bibbia politica dei conservatori USA

Il Project 2025, che la Heritage Foundation definisce una “Bibbia politica”, viene descritto come il piano per imprimere una svolta autoritaria negli USA concentrando amplissimi poteri nelle mani del presidente, esautorando il Congresso e asservendo le istituzioni all’Esecutivo. Addirittura Wikipedia cita il Washington Post dove una fonte anonima assicura che il Project 2025 prevede, se venisse eletto Trump, il ricorso all’Insurrection Act del 1807 per attribuire all’esercito compiti di ordine pubblico e per incaricare il Dipartimento della Giustizia di perseguire gli oppositori. Ma nelle 887 pagine del Mandate for Leadership, compilato con il contributo di decine di organizzazioni di solide tradizioni democratiche, non si trova alcunché che preconizzi un attentato alla Costituzione. Anzi il testo si attiene ad una interpretazione rigorosa del dettato costituzionale definita “originalista”, in opposizione a quella “progressista” che predilige l’interpretazione estensiva per tener conto delle mutate circostanze storiche e sociali (ad esempio su aborto e identità di genere). Insomma l’impianto ideologico ricalca i cavalli di battaglia classici della destra repubblicana e i temi della “culture war” permanente iniziata nei primi anni ’60. Del resto, il Mandate for Leadership, è stato redatto e pubblicato in occasione di ogni elezione presidenziale dal 1981. Quello per le elezioni del 2024, divulgato ad aprile 2023, pone molta enfasi sulla selezione degli uomini che saranno chiamati ad attuarne le ricette, se necessario contrastando strenuamente lo strapotere delle burocrazie. Su questo punto il Mandate for Leadership si ispira dichiaratamente al Federalist Paper No. 47 in cui James Madison asseriva che «l’accumulo di tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, nelle stesse mani, sia di uno, di pochi o di molti, ereditari, autoproclamati o elettivi, è la definizione stessa di tirannia». Quindi la galassia conservatrice americana stigmatizza il fatto che attualmente l’esecutivo – sia esso controllato dalla burocrazia o dal presidente – scrive le leggi federali, le applica e spesso giudica come tali leggi siano state redatte e applicate. Una burocrazia federale tentacolare quindi ha facile gioco, esautorando di fatto il Congresso, nell’imporre i propri desiderata politici o, peggio, quelli dei radicali “woke”. Del resto nella prefazione il presidente della Heritage, Kevin Roberts, non usa perifrasi: «La lunga marcia del marxismo culturale attraverso le nostre istituzioni si è compiuta. Il governo federale è un colosso, armato contro i cittadini americani e i valori conservatori, e la libertà è sotto assedio come mai prima d’ora». A sinistra questa esibita ostilità contro i funzionari pubblici di carriera fa scattare un riflesso condizionato perché essi vengono considerati più inclini a privilegiare il ruolo dello Stato, a difendere la pervasività delle sue funzioni e ad osteggiare la riduzione del suo perimetro. Ad esempio Jonathan Swan, in un articolo critico pubblicato sul New York Times del 1° dicembre 2023 (Paleoconservative or Moderate? Questions for Staffing the Next G.O.P. White House), si indigna perché il questionario attraverso cui la Heritage seleziona i potenziali political appointees chiede: «Il presidente deve essere in grado di implementare il proprio programma attraverso i vari passaggi senza essere ostacolato da funzionari federali non eletti?». Oppure: «La vita ha diritto a una protezione legale dal concepimento alla morte naturale?» O ancora: «I governi dovrebbero sovvenzionare l’uso o la produzione di energia, in particolare per le tecnologie energetiche innovative?» Altre parti del Project 2025 suscitano l’allarme rosso tra i democratici (e non solo), in particolare il dichiarato proposito di smantellare il Green New Deal, totem dalla sinistra sanderista, l’eliminazione del Dipartimento dell’Istruzione, esecrata dai potenti sindacati degli insegnanti, l’avversione all’aborto, il ripudio delle politiche di genere LGBTQ+, la criminalizzazione della pornografia (cosa che ai tempi di internet non è possibile nemmeno in Arabia Saudita o in Iran), la fine delle quote riservate alle minoranze. Né rende il clima più disteso il proposito di regolare i conti con il Dipartimento di Giustizia, l’Fbi e le agenzie di sicurezza che, a detta dei conservatori, hanno orchestrato un’indebita persecuzione contro gli avversari politici delle «élite» e dello «Stato burocratico». Uno in particolare, che di nome fa Donald e di cognome Trump.

L’Articolo scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore

Qui il PDF

Share