Il Potere è noioso, Forchielli no – La recensione di Simone Torricini

La verità fa male, a tratti malissimo. Non provoca dolore fisico (se tra i dolori fisici non includiamo lo stomaco che spesso si piega in due al sentirla, la verità), bensì agisce in modo differente. E a pensarci bene, in realtà, non siamo neanche tenuti a doverla affrontare faccia a faccia. È un concetto che vale per la vita di tutti i giorni, di tutte le persone di qualsiasi età e di qualsiasi ceto sociale: per non farsi del male è sufficiente voltarsi, abbassare lo sguardo o fingere di non aver visto, di non aver sentito. Quella di trovarsi di fronte a ciò che è reale e allo stesso tempo spaventoso, soprattutto se privi di appigli salvifici ai lati, è una condizione che per indole l’essere umano ha sempre cercato di evitare. E diciamocelo: si è sempre sentito giustificato a farlo.
Va detto anche che parlare di verità assoluta può facilmente trarre in inganno: che esista o meno, è pur sempre necessario rispettare chi sostiene che non ve ne sia una, e che al contrario crede nella valorizzazione della moltitudine di interpretazioni. Chi scrive si riconosce solitamente nella seconda fazione, ma nel caso specifico vede traballare – e non poco – la propria posizione.
Sarò chiaro. Quando ho preso in mano per la prima volta Il Potere è noioso, di Alberto Forchielli, lo ho immediatamente (ed involontariamente) associato ad un altro libro letto recentemente, Basta piangere! (l’autore era in quel caso Aldo Cazzullo). Ed in effetti con il senno di poi le analogie sono più di una: entrambi si rivolgono ad un pubblico giovane, entrambi esortano lo stesso pubblico giovane a non crogiolarsi nell’immobilità, ed entrambi hanno una funzione simil-didascalica. C’è però una differenza sostanziale tra i due, che consiste poi nella caratteristica del primo che più mi ha catturato: mai, prima d’ora, mi era capitato di vivere una lettura in maniera così attiva.
Il Potere è noioso è quel tipo di libro che dopo un po’ ti senti obbligato a sfogliare, se non altro perché parla di te e dei tuoi coetanei. È quel tipo di libro che voleresti volentieri fuori dalla finestra, perché non ti mette certo di buon umore, ma che allo stesso tempo senti il bisogno di avere vicino. Esagerando potremmo dire che viverlo è stato molto simile ad una sfida contro il Sole a mezzogiorno: tu guardi lui, lui guarda te, ma lui è più forte, ma tu vuoi dimostrare di sapergli tenere testa, ma, ma, ma eccetera eccetera. Solo che poi il Sole vince, mentre con un po’ di buona volontà la nostra sfida non è poi così insormontabile.
Così come ai tempi dell’Impero tutte le strade portavano a Roma, tutti i presupposti fanno sì che il messaggio di Forchielli risulti limpido sin da subito. Bisogna evacuare i giovani dall’Italia, recita l’incipit di uno dei paragrafi chiave. Nessun pelo sulla lingua, e soprattutto nessun dubbio: la convinzione per la quale nel Belpaese non c’è né tantomeno ci sarà in futuro spazio per i giovani è la colonna portante della filosofia dell’autore. Che per ovvie ragioni incide, mette il fiato sul collo ed è straordinariamente motivante.
Se non siete troppo in là con gli anni ben più di una volta avrete avuto la sensazione di essere stati oggetto di una sorta di tentativo di maieutica. Non è ben chiaro se la posizione dell’autore, nel discorrere della situazione socio-politico-economica italiana, sia descrittiva (e dunque costruita intorno al fine di indurre al ragionamento chi legge) o prescrittiva (carica pertanto della volontà di “imporre” una soluzione). Insomma, se da una parte è vero che sono incalcolabili i frangenti in cui Forchielli propone e suggerisce (tra i tanti ve ne è uno particolarmente convincente, incentrato sui vantaggi di cui l’edilizia italiana potrebbe giovare se iniziassimo a mettere in piedi qualche decina di carceri in più), dall’altra è altrettanto vero che spesso e volentieri si ha la percezione di un soggetto narrante che vede le cose dall’alto verso il basso, forte di una posizione solida e per questo motivo un po’ più distaccata. Anche se, va riconosciuto, Forchielli ama il suo Paese ed è un uomo estremamente patriottico. E, mi preme ricordarlo, queste ultime parole non sono altro che una citazione.
Meriterebbe molto più spazio l’Alberto Forchielli personaggio (non è istituzionale, a quel paese il politically correct), descritto in modo talmente chiaro nell’introduzione da Michele Mengoli (co-autore) che durante la lettura sembrava di averlo accanto, ma in fondo non è questo ciò che ci interessa. Ci interessa piuttosto conoscere la valanga di motivi per cui, sempre in quel famoso incipit, l’autore sia convinto del fatto che Chi ci governa non lo dice. Non può dire che la ripresa non c’è e non ci sarà. Le cause sono perlopiù quelle che già conosciamo (politici, burocrazia, mafia, grande evasione e compagnia bella), ma il modo in cui sono presentate è totalmente differente, di un’originalità coinvolgente. Il linguaggio è talmente diretto che uno dei vari appunti che ho ritrovato sul testo recita così: potremmo definire Il Potere è noioso un libro d’inchiesta, almeno in parte. Già, in parte. Perché soltanto la prima metà è interamente dedicata alla situazione all’interno dei confini nazionali. Nella seconda, invece, il lettore è portato a spasso per tutto il resto del mondo: Cina, USA, Malesia, Singapore, Hong Kong. In tutto questo c’è una distinzione di base: da una parte gli USA, terra di occasioni stabile. Dall’altra l’Asia, terra di occasioni – potenzialmente maggiori? – ma ancora non del tutto decifrabile.
Poi, qualche migliaio di gradini più in basso, vaga impaurita la nostra Italia. Che Forchielli vede come un veliero che sta colando a picco (o, per essere più precisi, alla canna del gas), e che non risparmia: la attacca verbalmente, l’Italia. La differenza con i Paesi che funzionano? Il litigio non chiarito. Da altre parti si lavora e si discute, ma alla discussione segue la risoluzione del problema. E, ancora in seguito, il progresso. In Italia no, si litiga e basta. Dopodiché accusa la sua stessa generazione di aver fregato (= rovinato) i giovani d’oggi, ma non se ne tira fuori. In realtà non ricordo di aver letto con precisione queste parole, ma sono sicuro di non essermele inventate.
Ah, ecco: è tutto qua sotto.

In Il Potere è noioso, il processo di arricchimento è scandito alla perfezione dai capitoli, che non staccano in maniera netta il filo del discorso ma allo stesso tempo consentono al lettore di riprendere fiato. D’altronde, se non si fosse capito, sono pagine durissime da mandar giù.
Mentre per quanto riguarda la digestione, beh, quello non saprei dirlo: sono ancora in alto mare.
 
Recensione di Simone Torricini,  già pubblicata su www.numerosette.eu

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