I cinesi non mettono i soldi. La cessione del Milan rischia di saltare

I termini per il closing della vendita del Milan scadono a mezzanotte e di certo l’accordo non si farà. Oggi. E’ probabile che ci sia un ‘gentlemen agreement’ per cui fino a venerdì10 i cinesi avranno il tempo per versare 100 milioni di caparra e chiudere iln un secondo tempo con gli altri 220 milioni necessari all’acquisto le Milan. Sulla questione da settimane comunque chi conosce dall’interno il mondo finanziario cinese ha le idee chiare. “Closing ‘inesistente’, ‘mutilato’ o ‘rateizzato’: sono queste le ipotesi che circolano nel mondo finanziario cinese sull’esito dell’acquisizione del Milan da parte del consorzio Sino Europe Sport (SES)”. A spigeralo all’Agi è Alberto Forchielli, managing partner del Fondo Mandarin, il primo fondo di private equity ad aver ottenuto capitale in gestione dal governo cinese.
Che fine hanno fatto i cinesi
Il consorzio SES capitanato dal misterioso uomo d’affari Li Yonghong, che avrebbe dovuto acquisire il 99,93% delle quote del Milan, ha chiesto a Fininvest di rinviare il closing, atteso il 3 marzo, per mancanza di fondi. Casa Milan sta valutando una proroga per fine marzo, secondo quanto trapela da fonti vicine alla trattativa. La decisione è attesa nelle prossime ore. Questa proroga verrebbe accettata solo in cambio di una garanzia: il versamento della terza caparra da 100 milioni di euro.
Fininvest ha comunicato di tenere ferma la data del 3 marzo per l’assemblea dei soci. Prima della conferenza stampa del 28 febbraio a Milano per presentare i nuovi proprietari del club rossonero, l’ad in pectore Marco Fassone non è più riuscito a mettersi in contatto con il consorzio SES capitanato.
I cinesi sembrano spariti nel nulla. Nel corso della giornata China Merchant Bank, la banca privata indicata come possibile socio della cordata, aveva smentito ad AgiChina qualsiasi investimento nel club di Fininvest. Nei giorni scorsi anche Huarong, altro importante socio contattato da Business Insider, si era sfilato.
Le tappe della trattativa tra Fininvest e Sino-Europe Sports
* 5 agosto: versati i primi 15 milioni (due rate: 4+11)
* 6 settembre: versati altri 85 milioni (100 in totale, prima caparra)
* Entro il 13 dicembre (inizialmente era il 12): 100 milioni (seconda caparra)
* Entro il 3 marzo: 320 milioni per chudere l’operazione oppure terza caparra di 100 milioni
* Entro il 1 aprile: 220 milioni (se a marzo è arrivata solo la terza caparra)
* Totale: 520 milioni (quotazione del club)
E ora cosa accadrà?
“I cinesi sono tenaci e non muoiono mai: la partita è ancora aperta”, dice Forchielli, il quale non ha mai creduto nella possibilità che i cinesi avessero i soldi per arrivare al closing e da tempo mette in luce segnali di scarsa affidabilità da parte degli investitori.
Al momento sono due le cose certe:
* Il capo-consorzio di SES, il signor Li, non ha raccolto i soldi necessari per chiudere l’operazione.
* Delle quattro società presenti nella lista finale (Haixia, Huarong, China Construction Bank, China Merchant Bank), le due che sono state contattate dalla stampa si sono sfilate.
In ogni caso, la possibilità che il closing slitti di un mese dipende dal versamento di altri 100 milioni come terza caparra: “Se Fininvest accetta la proroga, vuol proprio dire che è al “brevo” (in dialetto bolognese: che ha bisogno di soldi, ndr). E poi lasciare il Milan nelle mani di questi compratori, mi sembra una chiusura indecorosa a 30 anni di successo”, aggiunge Forchielli.
A quanto ammonta l’affare
Ai 200 milioni di euro già versati, se ne devono aggiungere altri 320, cui vanno sommate le garanzie bancarie, arrivando così a un totale di 700 milioni. Senza contare il ripianamento delle perdite del club, nonché adeguate garanzie sui futuri investimenti. Di recente sulla stampa italiana si sono rincorse voci su possibili forme rateali di pagamento, facendo quindi dubitare che i nuovi investitori siano realmente in possesso della liquidità necessaria e della garanzie bancarie sufficienti a chiudere l’operazione nei termini indicati dalla lettera di intenti firmata il 5 agosto scorso.
Sul ritardo del closing, slittato già diverse volte, pesano vari fattori:
* Primo fra tutti, la stretta sulla fuoriuscita di capitali imposta dalle autorità cinesi a partire da fine novembre scorso, che per il consorzio SES si è tradotto in lungaggini burocratiche.
* In assenza delle autorizzazioni da Pechino, SES ha percorso una strada parallela, impegnando capitali che sono già fuori dalla Cina.
* Secondo quanto hanno riferito nei giorni scorsi all’AgiI fonti vicine all’operazione, dovrebbero arrivare da Hong Kong i soldi con cui verrà saldata la caparra: SES non ha ancora ricevuto l’autorizzazione del governo cinese.
Da investimento sicuro ad affare a rischio
“Da quanto mi risulta, SES non è mai riuscito a raccogliere i capitali in Cina, e ho quindi sempre ritenuto difficile che potesse farlo attraverso conti offshore”, dice Forchielli. Il quale non ha mai creduto nel closing. La spiegazione è semplice: “Da quando il governo di Pechino ha imposto le misure restrittive sulla fuoriuscita di capitali, nel novembre scorso, i cinesi che hanno soldi all’estero li usano come riserva preziosa, e cercano di non spenderli”. Di certo non per investire in un club calcistico straniero. E così da un closing sicuro “alimentato da una stampa poco professionale e da agenzie con il chiaro mandato di rendere più forte la posizione negoziale di SES, si è passati all’ipotesi di vendita rateale del Milan, poi di grandi sconti e di debiti non passati, per giungere nel giro di qualche ora a uno scenario di closing inesistente”, spiega il manager.
Si tratta del resto di un’operazione che il governo cinese non vede di buon occhio perché in palese contraddizione con le direttive governative che frenano gli investimenti sul calcio. “Non è da escludere che i cinesi di SES siano stati trattenuti in patria”, aggiunge ironicamente Forchielli. Negli ultimi mesi, dalla realtà cinese sono giunti segnali evidenti sulla scarsa affidabilità degli investitori, che stampa e tifosi non hanno saputo leggere: “Anche in ambienti legali e bancari italiani, i malumori e i disagi su comportanti strani e non ortodossi di SES si erano fatti strada da tempo, ma erano sotto traccia”, ha concluso Forchielli.
Articolo di Alessandra Spalletta, AGI


 

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