I cavilli che rendono il Mes un’arma a doppio taglio

II rifiuto finora opposto dal governo Italiano alla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), mette a repentaglio la credibilità faticosamenie acquisita a Bruxelles. Non è chiaro a quali obiettivi si punta rinviando la decisione. Di sicuro l’atteggiamento recalcitrante non irrobustisce il potere contrattuale del nostro Paese nel negoziato sul Patto dl stabilità e crescita (Psc) o su altre questioni spinose, come l’unione bancaria. Tuttavia quando Meloni dichiara che la riforma del Mes non va ratificata senza sapere come verrà riformato al Psc, coglie – non sappiamo quanto consciamente – un punto cruciale celato nei meandri del Trattato che modifica il Mes.

È una questione da iniziati capaci di decodificare le sfumature e gli arcani dei trattati. Specificamente, si tratta della nota a pié di pagina che correda il punto ii) contenuto nella lista a) della parte 2 dell’Allegato III al nuovo Trattato sul Mes. Tale Allegato fissa i criteri di ammissibiltà alla linea di credito condizionale precauzionale. La nota a piè di pagina recita: «Il parametro di riferimento minimo è il livello del saldo strutturale che in condizioni cicliche normali offre un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento fissata dal Tfue. È usato principalmente come uno dei tre elementi considerati nel calcolo dell’obiettivo a medio termine minimo».

Il Tfeu è Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che ha inglobato il vecchio Psc, inclusi i famosi parametri di Maastricht.

Cosa implica tale nota, inserita a suo tempo su esplicita richiesta del governo tedesco? Che qualora il Psc venisse modificato, l’Allegato III del Trattato sul Mes va sottoposto a una nuova ratifica di tutti i parlamenti dei Paesi aderenti all’Unione monetaria.

In sostanza, la nota impone di approvare esplicitamente le condizioni o i parametri inseriti nel nuovo Psc, perché impattano in modo sostanziale sul funzionamento del Mes.

Qual è la logica? Gli strumenti precauzionali (che fanno parte di un Regolamento europeo), devono essere allineati alle regole del Psc.

In caso contrario si potrebbe creare una situazione paradossale, in quanto le regole per attingere ai fondi del Mes potrebbero essere più stringenti delle condizioni o parametri che -a norma di Psc- definiscono la governance fiscale e la sostenibilità del debito pubblico nella Ue. In parole semplici un Paese che ottemperasse al Psc potrebbe non avere il diritto di beneficiare della linca di credito precauzionale.

Per uniformare Mes e Psc la procedura da seguire è alquanto bizantina: il Consiglio dei governatori del Mes approva il nuovo

Allegato lIl come emendato per effetto del nuovo Psc.

Successivamente, ogni Paese (in base all’Art. 2 sul deposito del Trattato sul Mes) deve depositare lo strumento giuridico presso il segretariato del Consiglio dell’Unione europea. È questo il passaggio chiave sfuggito a molti, anche ai piani nobili del ministeri, perché non tutti sono consci che il deposito di uno strumento internazionale presso il segretariato del Consiglio dell’Unione europea prevede la ratifica del parlamento.

Infatti l’ambasciatore presso la Ue, prima di poter depositare tale strumento a nome del Paese che rappresenta, deve essere autorizzato dal proprio Consiglio dei ministri o da altro organo di governo o istituzione preposta dalle leggi nazionali, ma in ogni caso, solo dopo un voto del parlamento. In sintesi, l’atto formale del deposito richiede una nuova ratifica parlamentare per tutti i 20

Paesi che aderiscono al Mes. Analoga procedura andrà seguita qualora si voglia modificare (forse nel 2024) l’Allegato IV che riguarda il cosiddetto backstop.

Ma è noto che nelle istituzioni europee si vorrebbe compiere un ulteriore passo in avanti. II Mes, al momento, è un trattato tra i Paesi membri dell’eurozona, non un trattato dell’Unione europea. Molti propongono di trasformarlo in una sorta di Fondo monetario europeo per tutta la Ue e che possa intervenire in caso di crisi anche in Paesi extra Ue, dove i nostri interessi siano in gioco. Un esempio lo fornisce l’attuale crisi in Tunisia. Ma in prospettiva il Fondo monetario europeo potrebbe sostenere lo sviluppo di Paesi africani come l’Etiopia (che stanno a cuore all’attuale governo), oppure la rinascita della Libia o le riforme in Egitto.

Senza dimenticare la ricostruzione dell’Ucraina. Il gioco delle perle di vetro sul Mes è destinato a protrarsi, per questo nella partita occorre schierare giocatori smaliziati.

L’Articolo scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani, pubblicato su Il Sole 24 Ore, 02 Agosto 2023

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