Forchielli e la Madre tigre

“Madre tigre” arriva dal libro di Amy Chua, intitolato Battle Hymn of the Tiger Mother. L’autrice, nata da genitori cinesi, insegna Legge all’Università di Yale. È stata educata in stile cinese, ha frequentato il MIT di Boston e poi si è laureata ad Harvard. Nel 2011, anno della pubblicazione del libro, il terzo della sua carriera di scrittrice, la rivista Time l’ha inserita nella lista dei cento individui più influenti al mondo. Chua, nel libro, racconta del suo ruolo di genitore molto severo nell’educazione dei propri figli, con pratiche ispirate al Confucianesimo. Pratiche sulle quali si orienta la maggior parte dei genitori immigrati dall’Oriente e in particolare dalla Cina. E le tematiche del libro hanno generato reazioni negative da parte dei media e hanno innescato un dibattito su scala globale relativo a quelli che si considerano essere o meno i migliori stili genitoriali. E noi, che siamo dei casinari di caratura mondiale, in questa bagarre ci buttiamo a corpo morto.

Alberto, entriamo anche noi nell’argomento… “Le chiamano ‘mamme tigri’ per la rigorosa disciplina e l’estrema attenzione che pongono sul successo e sulla performance dei loro bambini. È uno stile di educazione dei figli che è molto comune nei Paesi asiatici, particolarmente in Cina, e che conta grandi differenze con la tipica madre occidentale. Ed è proprio da queste differenze che si è scatenato lo scontro che vede da una parte i sostenitori dell’approccio rigoroso e dall’altra i sostenitori di modelli genitoriali favorevoli a una maggiore indipendenza per i figli.”

Facciamo una comparazione tra i due stili? “Secondo la scrittrice, quando un genitore occidentale pensa di comportarsi in modo rigido col figlio, neanche si avvicina al livello di rigidità di una madre tigre! Un altro elemento molto contrastante sta nell’atteggiamento che il genitore ha nei confronti della psicologia dei bambini. Difatti se in Occidente i genitori sono attenti e cauti nell’approccio con la forma mentis del figlio, i cinesi non lo sono affatto perché tendono a dare per scontato che il bambino sia dotato di una forza mentale innata e così elementi di fragilità non sono neanche presi in considerazione. Questa è senza dubbio un’assunzione forte che causa una differenza strutturale nella relazione genitore-figlio nelle diverse culture. I genitori cinesi, inoltre, di base, credono di sapere quale sia la cosa migliore per il loro figlio e, comportandosi di conseguenza, finiscono spesso e volentieri per scavalcare i suoi desideri e le sue preferenze. Questa è una cosa che non appartiene agli stili genitoriali occidentali che invece rispettano l’individualità dei figli e li incoraggiano nel perseguimento delle loro passioni e dei loro interessi.” 

C’è un esempio del libro che ti ha colpito? “Sì, la storia del rapporto che le due figlie dell’autrice hanno con lo strumento musicale che suonano. Per scelta della madre sono obbligate a suonare, una il pianoforte e l’altra il violino, e non possono in alcun modo rifiutarsi. La volontà della madre che le due figlie imparino a suonare il proprio rispettivo strumento non può essere contrastata. Generalmente la madre cinese esige dal figlio voti massimi in ambito accademico, poiché considera il figlio capace di prenderli. Se il figlio fallisce nel raggiungimento di questo obiettivo, il genitore penserà che vi è stata pigrizia o uno scarso lavoro alle spalle. Di norma, il tipico genitore cinese cerca di convincere il figlio che niente di tutto ciò che facciamo è divertente, almeno fino a quando non lo facciamo meglio degli altri. E questo lo considerano valido per qualsiasi situazione e in qualunque ambito. Secondo il ‘credo’ dei genitori cinesi, il duro lavoro genera il raggiungimento di un traguardo che a sua volta genera un maggior livello di confidenza, e così un altro risultato a seguire. Si sviluppa perciò un circolo virtuoso nel quale ciascun genitore vorrebbe inserire il figlio.”

Questa rigidità assoluta da dove arriva? “Dalla convinzione dei genitori cinesi che i figli debbano tutto a loro. Convinzione che nasce probabilmente dalla combinazione del principio di pietà filiale del Confucianesimo e dal fatto che essi credono di essersi sacrificati abbastanza per i loro figli, tanto da poter esigere qualsiasi cosa. Seguendo questa prospettiva, i genitori si sentono spesso liberi di alzare l’asticella degli obiettivi attesi dal figlio, causando in questo modo discreti livelli di stress e oppressione su quest’ultimo. Nei Paesi occidentali invece i genitori non si aspettano questo tipo di doveri da parte dei figli perché è condivisa la concezione che i figli nascono senza essere interpellati sulla loro volontà e per questo i genitori occidentali tendono a supportare le scelte dei figli e a incoraggiarli nel raggiungimento degli obiettivi.”

A che punto è il dibattito globale? “Il libro, appena pubblicato, ha da subito generato un putiferio, fino a provocare minacce di morte per Amy Chua, seguite da insulti razzisti e accuse per abuso di minori. L’autrice ha poi risposto alle critiche sostenendo che il libro deve essere letto in chiave ironica e, sempre nel tentativo di difendersi dall’inatteso boom di critiche, ha provato a giustificare il suo stile educativo, spiegando che il periodo di vita in cui lo ha messo in atto è stato tra i 5 e i 12 anni di età delle figlie. E oggi, a suo dire, entrambe frequentano il college e sono libere di fare le proprie scelte e intraprendere il percorso desiderato. Evidenziando che la forte rigidità che l’ha contraddistinta nell’educazione delle figlie è limitata a un breve periodo quando queste erano bambine e il suo approccio da madre tigre ha voluto così prepararle al futuro, dotandole di competenze, dell’abitudine a impegnarsi e di un fiducia in loro stesse che nessuno in futuro potrà togliere loro.”

Cosa ne pensi? “Come scrive la Chua, penso anche io che gli effetti sui figli dovuti all’educazione di una madre tigre dipendono soprattutto dal contesto in cui i figli crescono. Secondo l’autrice, la presunta mancanza di iniziativa o di capacità sociali dei figli di madri tigre potrebbe essere confermata in un contesto come quello cinese dove gran parte del sistema educativo è tutt’oggi rigoroso, autoritario e basato sull’apprendimento mnemonico. Non si può invece presumere in egual modo che gli effetti siano gli stessi quando questo avviene in Occidente, dato che la madre tigre opera in un contesto di società che celebra l’indipendenza, l’umorismo e la creatività del pensiero. Tutto sommato, la madre tigre ha influenze sia positive che negative sui figli. Aspetti negativi e positivi caratterizzano tutte le scelte che l’essere umano è chiamato a fare. Una ‘analisi costi-benefici’ dovrebbe suggerirci qual è la strada preferibile da seguire ma in queste situazioni l’assenza di grandezze misurabili non ci permette di avere una risposta esatta. Essere una mamma tigre potrebbe essere dunque positivo qualora i vantaggi derivanti da un’educazione più rigorosa sorpassino i costi psicologici e sociali sopportati dai figli. Tuttavia un buon bilanciamento è nella maggior parte dei casi il giusto compromesso. Le madri devono quindi trovare un equilibrio nel modo con cui affrontano la fase di educazione dei figli, cercando di sfruttare entrambi gli aspetti positivi, sia quelli della madre tigre, sia quelli propri degli stili educativi più permissivi, basati su un’idea di libertà.”

Vabbè, ma non è che chiudiamo questo intervento sul dibattito “Madre tigre” in maniera così politicamente corretta? Dai, Alberto, lasciati andare… “Il compromesso migliore è la madre tigre temperata. Parliamoci chiaro, oggi i giovani devono fare scelte fondamentali quando ancora non capiscono un cazzo e hanno in testa solo la birra e la figa. Quindi serve qualcuno che programmi per loro e la madre tigre è perfetta perché con il suo stile tira su dei figli meravigliosi. Devo però ammettere che se da un lato la madre tigre è formidabile, dall’altro lato basta che non abbia a che fare con me, né come moglie né tanto meno come madre, altrimenti scappo a gambe levate.”  

Forchielli, la madre tigre e la fuga da Alcatraz.

Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (3 Agosto 2015)

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