Ecco tutte le piroette di Trump su Nafta, Tpp, Messico e Cina. Parla Forchielli.

Per verificare quanto sia rimasto di Donald Trump alla Casa Bianca, abbiamo chiesto ad Alberto Forchielli (nella foto), imprenditore eclettico in giro per il mondo, fondatore della Mandarin Capital Partners ed esperto internazionale di economia, come è cambiata in questi mesi a Washington la linea di politica economica del Tycoon annunciata in campagna elettorale. Di seguito la conversazione di Forchielli con Formiche.net.
Iniziamo dal commercio internazionale, uno dei marchi di fabbrica della proposta politica di Trump. Perché il Tycoon, dopo aver promesso di abbandonare il North American Free Trade Agreement (NAFTA) con Messico e Canada, ha deciso di lasciarlo in vita?
Trump non poteva abbandonarlo, distruggere la supply chain della lobby delle imprese americane sarebbe stato un disastro: si sarebbero fermate la Ford, la General Motors, la General Electrics. Era assolutamente impraticabile la mossa, ormai il Messico e il Canada sono parte integrante della catena del valore. Ci sarebbero state ripercussioni sui costi, sull’occupazione e sul potere di acquisto dei consumatori, che avrebbero pagato il prezzo più alto.

Come riuscirà a impedire il trasferimento degli stabilimenti in Messico, dove il costo del lavoro è molto più basso?

Legalmente non può impedirlo. Il NAFTA è stato approvato nel 1994, ormai quello che doveva andare in Messico è già andato. Inoltre ci sono lobby molto forti, come quella degli agricoltori, che si schierano dalla parte del Messico.
E quindi?
Quindi gli Stati Uniti dovevano pensare prima alle conseguenze, dovevano calcolare che i benefici si sarebbero concentrati in alcune parti del paese e i malefici in altre. Ad esempio, tutta la parte del paese che ha votato Trump è composta di Stati che sono stati falcidiati dal NAFTA. Quegli accordi hanno beneficiato molto i ricchi e molto poco i lavoratori del manifatturiero.

E invece che ne pensa della scelta di Trump di abbattere definitivamente il Trans Pacific Partnership (TPP)?

Trump è uno sciocco. Non soltanto perché il TPP aveva un valore politico e strategico, ma anche perché era la versione aggiornata del NAFTA, che avrebbe garantito alle imprese americane molta più protezione, soprattutto nel campo dei servizi. Ora il paradosso è che l’unica ipotesi per rinegoziare il NAFTA è inserire pari pari una parte del TPP.
Cosa è rimasto della linea Trump sul commercio con la Cina?

Della linea Trump non è rimasto nulla. Trump ha sbagliato a mischiare il discorso della Corea con quello del commercio, perché andavano tenuti distinti. Ci sono delle lobby fortissime per la linea morbida con la Cina, come la Business Roundtable, una specie di Confindustria americana, ma anche le multinazionali americane, che ormai hanno il 30% degli utili in Cina. A queste si aggiunge la potentissima lobby degli agricoltori e quella di Wall Street.
Gli accordi di libero scambio conclusi in questi mesi fra Washington e Pechino sono il segno di un cambio di rotta?
Gli accordi di libero scambio come quelli sul manzo, il riso, il pollame, le carte di credito, le società di rating americane, il gas, sono stati dei contentini. Adesso i cinesi vogliono aprire il tema del technology transfer: le aziende americane di alcuni settori sono obbligate ad aprire delle joint ventures con i cinesi e trasferire la loro tecnologia all’estero. Per questo Trump ha aperto un’indagine per capire se c’è lo spazio per fare una ritorsione al Wto contro la Cina sul tema delle asimmetrie nel technology transfer. A mio parere gli americani avrebbero piuttosto dovuto avere il coraggio di fare pressioni sulla Cina per le centinaia di miliardi che i cinesi che hanno rubato in software piratati, parliamo di circa 200 miliardi di dollari.
 
Intervista di Francesco Bechis pubblicata su Formiche.net, 02/09/2017

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