“Assumetevi le vostre responsabilità”

Bisogna smettere di scaricarle continuamente sulla scuola e sullo Stato

Intervista di Martino Uzzauto, responsabile di Unilab, associazione culturale dell’Università Cattolica di Milano.

Come si svolge la sua giornata tipo, dalla sveglia fino a quando va a dormire?

Spesso mi capita di puntare una “doppia sveglia”: la prima suona alle 6, mi alzo per lavorare un po’, poi torno a dormire e mi risveglio tra le 9 e le 10. Fino a mezzogiorno leggo tutte le e-mail ricevute e la stampa mondiale: Australia, Giappone, Hong Kong, Singapore, America, Italia, Inghilterra. La mattina cerco di non prendere mai appuntamenti, nemmeno per pranzo. Inizio a incontrare le persone a partire dal pomeriggio, tramite videochiamata, telefonicamente o di persona. La sera mi ritiro nella mia camera intorno alle 22.30, ma spesso leggo fino all’1:00. Leggo i quotidiani e sono abbonato ad almeno settanta riviste.

La sua giornata è cambiata rispetto a quando ha iniziato a lavorare al suo fondo?

Moltissimo. Ai tempi non c’era ancora il telefono mobile, non c’erano le e-mail…. Insomma era tutto molto diverso. La mia giornata ha cominciato a plasmarsi in base alla tecnologia. In quarant’anni non ho mai avuto un vero e proprio ufficio, ma solo delle scrivanie in spazi comuni. Dopo essere stato a Singapore circa venticinque anni fa ho iniziato a lavorare da casa.

Come prende una decisione?

Le decisioni sono sempre prese dal mio team, perché ho strutturato il tutto in modo da rendere l’ufficio autonomo grazie ai tanti responsabili presenti. Se sono tutti d’accordo, difficilmente mi intrometto; nel caso non la pensassi allo stesso modo o se sorgessero problemi, cerco di approfondire la questione intervenendo in prima persona. Seguo superficialmente tutto il percorso decisionale via e-mail, oppure a volte telefono per chiarire alcune questioni. Fortunatamente in casi rarissimi sono in disaccordo radicale con il team.

Quanto conta il caso nella vita?

Il caso nella vita di ognuno c’è sempre e conta, nel bene e nel male. Per esempio, rifacendomi alla mia esperienza, decisi di creare Mandarin a Hong Kong dopo che il mio avvocato mi venne a trovare a Imola nell’estate del 2005 e mi disse una frase molto significativa che mi diede l’impulso giusto per partire.

Quali sono gli step che l’hanno portata al successo, in Asia e poi a fondare il suo fondo?

Sono sempre molto curioso nei confronti di ciò che c’è intorno a me, anche perché mi annoio piuttosto facilmente, quindi sono sempre alla ricerca di stimoli e novità. Questo mi ha portato a impegnarmi a fondo in qualche progetto fino a concluderlo per poi cercarne avviarne un altro. Dopo l’Università ero curioso di fare un Master e sono andato a Harvard, dopo ho lavorato in uno studio di consulenza di professori di Harvard, che hanno venduto a una società francese. Queste condizioni a me non piacevano, perché volevo essere io il capo. Così sono andato a lavorare all’IRI nelle privatizzazioni, poi ho capito che bisognava puntare verso l’Asia. Mi ci sono trasferito, nel 1994, e ci sono rimasto per quattro anni fino a quando non è arrivata la “Crisi asiatica”. A quel punto sono andato a lavorare presso la Banca Mondiale a Washington, perché ero curioso di conoscere quel mondo, e poi alla Banca Europea a Lussemburgo. Dopodiché, divertito ma stanco della burocrazia bancaria, ho cercato di cambiare e ho capito che potevo diventare un imprenditore, per cui ho avviato un business di outsourcing per le aziende italiane in Cina, sulla base del quale mi è venuta l’idea di creare un fondo: così ho dato vita a Mandarin.

Cosa ha imparato in Università e a Harvard, che poi le è servito nel lavoro?

All’Università e a Harvard ho imparato tutto quello che so. Harvard è un modo di vivere, di essere. Oltre alle tantissime nozioni in molteplici campi, ho appreso soprattutto un modo di concepire la vita e il mondo. Questo contesto così prestigioso ha sollevato in me grandi curiosità intellettuali e curiosità infinita: non si finisce mai di imparare!

Quale consiglio vorrebbe dare a uno studente universitario che sta per affacciarsi al mondo del lavoro? Quale consiglio crede invece che dovrebbe ignorare?

I veri suggerimenti per il futuro e per il lavoro si danno ai ragazzi fino a quando hanno 14 anni, dopo è troppo tardi. Il consiglio, comunque, è quello di studiare solo in funzione di un preciso lavoro. Al mondo d’oggi la cultura generale si crea con le letture serali, ma si va a scuola per imparare una professione che possa trovare un posto nel mercato lavorativo.

Cosa avrebbe voluto sapere quando ha iniziato la sua carriera, che poi magari ha imparato nel corso degli anni?

Ho imparato ad ascoltare di più e parlare di meno, a essere più buono con gli altri, più sensibile e più empatico. In passato non lo sono stato sempre. Se rinascessi, quindi, vorrei essere un uomo più buono e paziente.

Quale fallimento passato ha posto le basi per un successo futuro? Ha un fallimento “preferito”?

Ce ne sono tanti. Uno dei principali è stato il credere di riuscire a lavorare all’interno di un sistema burocratico o strutturato. Questo “errore”, però, mi ha aperto la strada che mi ha portato a creare il mio fondo. Considero un fallimento anche il fatto di esser stato troppo cocky, eccessivamente sicuro di me stesso nel mio approccio al lavoro e alla vita. Se potessi tornare indietro, sarei più moderato.

C’è qualcosa che lei ritiene sia vera ma che molti non condividono?

Sono convinto del fatto che un Paese si costruisca lavorando di più e meglio, rubando di meno. La maggior parte delle persone pensa invece che un Paese si crei con le formule. Questa mia opinione suscita spesso molte critiche.

Quale libro le è capitato di consigliare o regalare più spesso?

Probabilmente “Homo Sapiens”di Harari.

In che modo immaginerebbe start up innovative nel food, nella moda, e così via?

Una start up innovativa nel settore del food potrebbe inventare qualcosa che sia in grado di conservare i cibi ancora più a lungo; nella moda sono invece utilissime tutte le formule che possono aiutare a creare vestiti su misura, incrementando la personalizzazione su internet, via e-commerce. I marchi andranno a scomparire. Si andrà verso la personalizzazione estrema, si cercherà di dare a ognuno qualcosa di diverso.

Nell’intervista con Montemagno ho apprezzato il consiglio che ha dato quando ha detto che oggi per avere successo una startup deve avere un business model orientato al B2B e non B2C.

Poiché non c’è capitale per le start up in Italia, si devono avviare quelle che richiedono una bassa intensità di capitale e che hanno dei clienti interessati a fornire i primi contratti o primi developing money on the beyond. Questi clienti possono essere solamente ditte che esportano nel settore industriale oppure nella moda.

Quali riforme auspicherebbe per l’Italia?

Bisogna allungare l’età pensionabile, bisogna flessibilizzare il lavoro e uccidere l’idea del posto fisso.