Alberto Forchielli sulla crisi del Pd e l'ascesa della destra

Imola, feudo rosso, è caduta dopo 72 anni nelle mani del M5s. L’imprenditore sulle cause della débâcle anche in Emilia-Romagna: «Il modello coop è finito». E su Salvini: «In economia segue le ricette del Duce».

Anche Imola è caduta. La città che ha dato i natali ad Andrea Costa, il padre del socialismo, e retta per 72 anni ininterrottamente dalla sinistra nelle sue diverse forme e sigle è diventata a cinque stelle. Al ballottaggio del 24 giugno, Manuela Sangiorgi ha ribaltato i risultati del primo turno e sorpassato la dem Carmen Cappello. Lo stesso è accaduto in molte altre città storicamente rosse: da Pisa a Massa, fino a Siena. Si conferma così la tendenza del 4 marzo e delle scorse Amministrative.
«POLITICHE ECONOMICHE CHE RICORDANO IL DUCE». Un crollo che, a Imola soprattutto, mette una pietra sopra a un “sistema”. Il «modello buonista, consociativista, chiuso e affaristico», dice a L43 l’emiliano-romagnolo Alberto Forchielli, fondatore e amministratore delegato di Mandarin Capital. Non che la linea economica proposta dal M5s e soprattutto dalla Lega lo convinca. «Le ricette di questa destra mi ricordano la politica economica del Duce», ma «in un mondo estremamente più integrato, più internazionale. È una roba che non sta né in cielo né in terra, mi fa sorridere».
Forchielli
DOMANDA. Ma il risultato di Imola se lo aspettava?
RISPOSTA. Sono rimasto molto sopreso dal fatto che tutti i miei amici della medio e medio-alta borghesia imolese abbiano votato M5s. Io avrei votato Pd nonostante tutto, piuttosto che i cinque stelle che mi sembrano un po’ degli scappati di casa. Non me lo sarei mai aspettato.
D. Quali sono le ragioni di questo voto?
R. In primo luogo in più di 70 anni prima il Pci poi il Pd hanno consolidato una rete di rapporti, relazioni e dipendenze per cui o eri dentro il cerchio o non battevi chiodo, o eri dentro il partito o niente. Secondo: il tema della piccola criminalità. È stato sollevato molte volte ma il Comune non ha mai fatto niente, il solito buonismo della sinistra. Terzo, il fatto che per decenni Imola ha sempre avuto dei sindaci che andavano e venivano.
D. Cioè?
R. Imola è sempre stata vissuta come un carrierificio: prima diventi segretario di partito, poi sindaco e infine parlamentare. Qualche esempio? Enrico Gualandi, Bruno Solaroli, Raffaello De Brasi, Massimo Marchignoli e anche l’ultimo, Daniele Manca. Si capiva che erano più interessati a emergere a livello nazionale o ad assicurarsi un incarico in Regione. Insomma, mancava una vera vocazione a fare il sindaco della città. Manca, poi, non si è nemmeno ripresentato.
D. Avrebbe avuto più chance di Cappello?
R. Era molto impopolare. Anche lui più interessato a quello che non era di Imola che di Imola stessa.

Mentre Salvini sull’irrigidimento dell’immigrazione, il giro di vite alla criminalità e pure sull’erezione di alcune barriere di protezione commerciali mi trova d’accordo, sulla politica economica proprio no

D. Anche in Emilia-Romagna il Pd sta perdendo terreno. Secondo lei perché?
R. Credo per le stesse ragioni, però Imola l’ho vissuta proprio sulla mia pelle. Davvero quando ho sentito i miei amici in coro dire «basta, non ce la facciamo più» e un grande padre della sinistra imolese, di quelli seri, criticare fortemente il partito ho capito che il M5s avrebbe vinto.
D. L’alternativa al Pd però è Salvini con a traino il M5s. Cosa ne pensa delle politiche del leader della Lega?
R. Mentre Salvini sull’irrigidimento dell’immigrazione, il giro di vite alla criminalità e pure sull’erezione di alcune barriere di protezione commerciali mi trova d’accordo, sulla politica economica proprio no.
D. Non la convince il neo-sovranismo?
R. Salvini dice di voler nazionalizzare l’Alitalia. Ma, dico io, se perde soldi da 50 anni ed è stecchita nella bara cosa pensi di fare? L’altro giorno Luigi Di Maio in visita alla Menarini (azienda produttrice di autobus, ndr), a Bologna, ha detto: la nazionalizzeremo. Ma se è cotta e defunta da 20 anni! È una cosa che non sta né in cielo né in terra. E poi questi discorsi di chiudere l’Ilva, bloccare la Tav, insistere sui settori strategici… ma in Italia di strategico non è rimasto nulla. Il fatto è che non bisognava nazionalizzare 30 anni fa. Ora è un ritorno al passato e basta.
D. Eppure lo chiamano il governo del cambiamento.
R. Abbiamo avuto le partecipazioni statali che sono state un disastro. Ce ne siamo liberati a grandissima fatica e adesso che abbiam le pezze al c**o che facciamo? Torniamo indietro agli Anni 50? Ho 62 anni, ho fatto le privatizzazioni all’Iri, conosco quel mondo. L’idea di tornare lì mi fa rabbrividire. E poi la destra sovranista era la destra di Mussolini…
D. Siamo a questo punto?
R. In campo economico il duce è stato un disastro inenarrabile. L’economia del Ventennio è stata una barzelletta. Abbiamo fatto la Prima guerra mondiale con i nostri cannoni che più o meno si scambiavano i colpi coi cannoni austriaci. Siamo arrivati 20 anni dopo, alla Seconda guerra mondiale, con i nostri carriarmati che sembravano scatole di sardine, ci siamo presentati coi biplani di tela. Siamo regrediti industrialmente. Le ricette di questa destra mi ricordano tanto la politica economica mussoliniana. Tra l’altro in un mondo più integrato e internazionale.
D. E quale sarebbe per lei la ricetta da seguire?
R. Puntare sulla conoscenza, creare poli di eccellenza. Ormai il mondo va in questa direzione e tu che fai? Dici di voler nazionalizzare un’azienda di autobus che è finita? Ma questi sono fuori dai coppi. Qui torniamo alla Romania Anni 60. Ci saranno le vetrine con le prugne di cartone, usciranno le Fiat di latta, rifaremo la Balilla ma 4.0. È imbarazzante.
D. Torniamo all’Emilia-Romagna. Anche quel modello ormai pare essere superato.
R. È un modello immobilista. Prendiamo Bologna. La Fiera è morta, la tangenziale è sempre quella da 50 anni. La inaugurai nel 1967 in macchina con mio padre e mia madre su una Lancia Appia di seconda serie. Bologna non ha una banca. Vive perché c’è l’Alta velocità… Ah dimenticavo, hanno fatto Fico.
D. E non è stata una novità positiva?
R. È una cavolata. È stato partorito da una città di cretini.
D. Emilia-Romagna vuol dire anche mondo cooperativo. L’ex ministro Giuliano Poletti tra l’altro è proprio di Imola.
R. Sui risultati elettorali, infatti, hanno pesato i problemi di due coop: il crac della Cesi, che ha lasciato a casa molte persone, e i problemi della 3 Elle, specializzata in finestre. Ma dico io: se vuoi produrre serramenti, minimo oggi devi delocalizzare in Moldavia.
D. Ci sono molte coop però che funzionano, almeno a livello locale.
R. Le cooperative dominano in Italia solo perché i Comuni rossi danno le licenze. Ma quale contributo dà il sistema coop all’export italiano? Mentre Carrefour o Wall Mart si allargano, la nostra Coop non riesce nemmeno ad aprire in Albania.
D. Ma esiste una alternativa vera allora?
R. Questa destra ci tocca ingoiarla, il popolo vuole così. Ora dobbiamo solo capire se esiste una uscita decente o se gli italiani si sono rincretiniti del tutto. Se continua così, con questa destra finiremo in cantina. Se la gente crederà ancora alla propaganda, la destra riuscirà a perpetuarsi.
D. E la sinistra?
R. Deve nascere un nuovo soggetto che non è il Pd. È finita un’epoca. La fine del buonismo e di una certa sinistra che difende tutti, tranne chi lavora. È un’ondata lunga. Lo vediamo anche negli Stati Uniti, con Trump che ormai viene visto come un eroe. Abbiamo visto il punto di entrata, il problema è che nessuno vede l’uscita. Come Paese siamo già fuori dalla mappa. E se va avanti così ci aspetta la messicanizzazione: con i distretti di Milano, Bologna, Modena e Treviso e così via competitivi. Una parte centrale in mano alla criminalità e una ultima porzione del Paese che si rimetterà a impagliare seggiole e palle di Natale. In nero.

Intervista di Twitter pubblicata su Lettera43, 25.06.2018
 

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