Misure drastiche per ridurre il dominio tecnologico della Cina

Per oltre un quarto di secolo le autorità cinesi si sono ingegnate per occupare i gangli vitali delle catene del valore nei settori strategici del XXI secolo, destinando a questo obiettivo risorse colossali. La ricerca scientifica è stata privilegiata e successivamente sostenuta nell’industrializzazione e nella commercializzazione, stimolando con massicci sussidi la domanda interna per tecnologie all’avanguardia. Di conseguenza, molte innovazioni sono state perfezionate prima che in Occidente e la Cina ha conquistato una primazia impensabile anche solo 10 anni fa, specialmente nei comparti fondamentali per la transizione energetica. Il caso più noto sono le terre rare, indispensabili nelle più svariate applicazioni, dai super-magneti al cracking del petrolio, dagli smartphone ai sistemi di guida missilistici, dai laser alle terapie antitumorali. Ma le terre rare sono cruciali anche nelle turbine eoliche installate offshore, oppure per rendere più efficienti i motori delle auto elettriche, oppure nelle leghe per le batterie. Inoltre la Cina è il primo produttore e, soprattutto, raffinatore al mondo di litio usato nelle batterie delle auto elettriche e dei dispositivi elettronici. A coronamento di questa superiorità, la Cina ha costruito una filiera di approvvigionamento, dall’Africa all’America, di altri minerali critici come nichel e cobalto, di cui è il maggior raffinatore globale. Infine, nella produzione di pannelli solari la Cina ha un dominio Incontestato. Nei decenni a venire la tecnologia di riferimento sarà quella del silicio monocristallino e, in misura minore, multicristallino. Nella filiera dei pannelli solari al silicio, secondo I dati dell’International Energy Agency, la Cina ha una posizione che varia dal 75% nella costruzione di moduli, al 97% nella produzione del wafer, passando per l’85% nella fabbricazione delle celle. Sfruttando questi vantaggi, la Cina produce la maggioranza assoluta delle turbine coliche, 1165% delle batterie per l’alimentazione dei veicoli elettrici, circa il 90% dei pannelli solari ed è il maggior fornitore di “inverter”. Per di più la Cina è diventata la prima esportatrice di auto al mondo grazie al know how acquisito nella produzione di veicoli elettrici. L’aspetto paradossale è che la Cina in molti casi ha sfruttato – oltre al dominio nell’estrazione e nella raffinazione di materie prime altamente inquinanti e impattanti per l’ambiente – anche il vantaggio competitivo derivante del basso costo dell’energia (circa un terzo rispetto ai Paesi sviluppati). Ma ciò dipende dal m ix energetico dove predomina il carbone, la fonte fossile meno cara e più inquinante in assoluto. Quindi in Occidente, per ridurre le emissioni di CO2, installiamo pannelli fotovoltaici prodotti in Cina generando imponenti emissioni di gas climalteranti. Se aggiungiamo che: a) il costo del lavoro (nonostante sia salito vertiginosamente) rimane al massimo la metà di quello prevalente nelle maggiori economie sviluppate, b) i prezzi dei terreni sono ridicoli, c) il fattore Nimby è sconosciuto, si comprende perché la Cina abbia accumulato un vantaggio insuperabile nell’industria manifatturiera rispetto ai Paesi Ocse. E le velleità masochistiche europee come l’abbandono dei motori endotermici, non faranno che accentuare questo gap. Fortunatamente, dopo anni di intontimento, in America l’Amministrazione Biden ha iniziato a predisporre le contromisure con l’Inflation Reduction Act, mentre l’Europa cerca confusamente di non farsi schiacciare nella contesa. Tuttavia per spezzare la dipendenza dalla Cina non ci si può affidare solo a politiche ortodosse. La Cina ha abusato dell’architettura economica e finanziaria globale, incentrata sulle regole di mercato, sfruttandone i benefici, ma rifiutando di adeguarsi alle regole. Dumping, sussidi, pratiche predatorie e violazioni sfacciate della proprietà intellettuale (per tacere dello spionaggio industriale su vasta scala), esigono una risposta massiccia coordinata a livello transatlantico per difenderci dagli abusi. Misure drastiche come il divieto di esportazione dei chip avanzati sono un segnale forte, ma occorrono risorse senza precedenti. Goldman Sachs ha stimato che solo per ridurre la dipendenza nelle batterie occorrono, entro il 2030, 160 miliardi di dollari di cui 78,2 per le batterie, 60,4 per le altre componenti 13,5 per le attività di estrazione del litio e 12,1 per la raffinazione di minerali. Il ritorno al futuro non è una cena di gala e presenterà un conto salato. 

L’Articolo scritto a 4 mani da Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore, 10 Maggio 2023

QUI IL PDF