La Cina mente: i contagi sono 80.000

L’imprenditore: «L’epidemia è un disastro annunciato (e si ripeterà). Adesso gli investitori perderanno fiducia e il Pil del Dragone calerà di 10 punti: perciò sul lungo termine scommetto ancora sull’America»

“Qua è tutto fermo: è la paralisi”. Alberto Forchielli, imprenditore e fondatore di Mandarin Capital Partners, risponde al telefono dalla Thailandia. In Cina ha lasciato dipendenti e uffici, al momento irraggiungibili. “Nessuno parte per la Cina, adesso: hanno tutti paura di rimanere bloccati là”.

Si gira con le mascherine anche lì in Thailandia?

Sì, ma per il resto qui sono incoscientemente tranquilli. Tra l’altro non hanno ancora bloccato i voli. Del resto i thailandesi non se lo possono permettere: qui arrivano tantissimi turisti dalla Cina. E se chiudono gli aeroporti, i cinesi si incazzano e gliela fanno pagare.

E lei non è preoccupato?

Sarei dovuto rientrare in Italia a giugno, ma probabilmente anticiperò ai tempi. Del resto qui la situazione è paralizzata: i due centri nevralgici asiatici, Hong Kong e Singapore, sono ancora in lock down.

Parigi, Londra e Berlino lanciano un appello ai connazionali in Cina: “Tornate, perché sarà sempre peggio”.

Magari sono toni un po’ esagerati, però in effetti in Cina abbiamo superato i 31.000 contagiati. Se ti parte il contagio, poi contenerlo è una fatica boia.

Ma i cinesi come l’hanno presa? Panico per le strade?

Sono sicuramente preoccupati, ma restano composti. Quella non è gente che si fa prendere dal panico.

Il governo di Pechino ha nascosto il virus per settimane?

Si è mosso tremendamente in ritardo. I primi casi si sono registrati ai primi di dicembre, ma fino al capodanno cinese non hanno detto nulla a nessuno. Hanno spostato milioni di persone. Cose mai viste. La situazione è sfuggita di mano, alimentando anche la sinofobia, la psicosi del cinese.

E oggi Pechino accusa gli americani di aver “diffuso il panico”.

Gli americani hanno semplicemente chiuso i voli, come abbiamo fatto noi. Poi è vero che intorno al virus circolano molte fake news, ma che le abbiano diffuse da Washington è tutto da dimostrare.

La cattiva gestione del contagio ha incrinato la stabilità del regime cinese?

No, perché i governanti sono stati bravi a dirottare la rabbia della gente nei confronti degli amministratori locali. Lo stesso presidente Xi Jinping si è opportunamente eclissato, fuggendo lontano dalle prime pagine dai giornali.

La quarantena funziona?

Per ora sì. Il 97% dei contagiati resta nella provincia di Wuhan. Anche se il numero reale è molto più grande di quello che ci viene comunicato.

Grande quanto?

La verità è che siamo intorno agli 80 mila contagiati. Ci sono anche delle difficoltà tecniche che impediscono di fare il conto correttamente.

E quanto durerà l’emergenza sanitaria? Alcuni virologi sostengono che si assisterà al picco verso la fine di marzo.

Io invece dico che andremo avanti almeno fino all’estate. Sempre se non sopravvengono brutte notizie.

In Italia i governatori Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga chiedono di ritardare l’ingresso scolastico ai bambini che rientrano dalla Cina. 

Le precauzioni nei confronti dei cinesi le stanno prendendo tutti: non è sbagliato. La quarantena è in vigore in tutti i paesi del mondo.  Meglio non fare i buonisti, che poi facciamo la figura dei coglioni.

Parliamo delle ripercussioni economiche. Stiamo  assistendo a un disastro?

Un disastro annunciato.

Perché “annunciato”?

Perché i mercati degli animali vivi, da dove è partito tutto, sono l’essenza della struttura agricola cinese. Un po’ come quando, 70 anni fa, i contadini italiani che avevano 4 polli, ne portavano 2 al mercato. E lì che la campagna arretrata incontra la città moderna. Ed è lì che nascono le infezioni.

E non si può rimediare?

Mica puoi impedire agli agricoltori di andare al mercato. Cosa fai, seghi le gambe a 500 milioni di contadini, che vivono su 100 milioni di ettari? Dove li metti? Si prospetterebbe anche un enorme problema sociale.

Quindi quello del virus è un problema che in Cina è destinato a ripetersi?

Certo che si ripeterà. Del resto questa è la terza epidemia, dopo l’aviaria e la Sars.

Quanto è pesante la botta per l’economia cinese?

Enorme, perlomeno nel breve periodo. Aspettiamoci un calo anche di 10 punti di pil. E’ uno scenario plausibile, quando il consumo di petrolio crolla del 25%.

E poi cosa succede?

Poi, se l’emergenza durerà, come credo, circa sei mesi, ci sarà una ripartenza. Dopo le grandi tragedie, siano esse terremoti, tsunami o epidemie, arriva sempre il rimbalzo. Però il coronavirus lascerà comunque un segno indelebile.

Quale?

Il colpo mortale all’immagine dell’efficienza cinese. Pechino si sta presentando al mondo come esportatore di malattie, con gravissimi problemi ambientali e agricoli. Questa sì che è una ferita permanente.

Un colpo all’immagine che allontanerà gli investitori?

Diciamo che già in partenza i cinesi non godevano di buona fama: sono quelli che cercano di fregarti in tutti modi, ti copiano la tecnologia, impongono dazi, scappano con la cassa, ostracizzano le imprese straniere.

E dopo il virus?

Dopo il virus, in aggiunta, la Cina si presenta come un paese poco affidabile verso cui rifornirsi. Insomma, un produttore che vuole usare la Cina come mercato di export, ora si fa una domanda: posso andare a lavorare in un Paese dove ogni 5 anni scoppia una pandemia?

Il segretario al commercio estero Usa, Wilbur Ross, dice che il coronavirus creerà posti di lavoro in America.

E’ quello a cui mi riferivo. Sarà la Cina a soffrire. Se sei un fornitore inaffidabile, la gente andrà a produrre, e a creare lavoro, altrove.

Quindi, se la Cina affonda, non dobbiamo temere una reazione a catena anche sull’Italia? Federalberghi sostiene che in un solo mese abbiamo perso mezzo milione di turisti dall’oriente.

Certo, per noi sarà sicuramente un bruttissimo anno per il turismo e per il lusso. Ma poi ci riprenderemo: sono 160 milioni i cinesi con il passaporto, rappresentano il 20% del turismo mondiale. Immaginatevi quando saranno mezzo miliardo e domineranno il settore turistico. Pandemie permettendo.

Come sta procedendo la via della Seta, cioè l’accordo quadro firmato dal governo italiano per potenziare gli scambi commerciali con la Cina?

Procede malamente. Un sacco di progetti in ritardo. Progetti arenati perché i cinesi non hanno più soldi. Tantissimi piani che sforano il budget creando enormi problemi di indebitamento. Insomma, un mezzo brodo.

Il Commissario europeo agli affari economici, Paolo Gentiloni, ha riconosciuto che il patto di stabilità e crescita non porta né stabilità né tantomeno crescita.

Il patto di stabilità? Non va bene a nessuno. I paesi del nord lo vogliono a maglie più strette, quelli del sud a maglie più larghe. Alla fine della fiera, non succederà niente.

Nemmeno per la famosa apertura europea sugli investimenti ambientali, il famigerato “green new deal”?

Quella è una roba fumosa che non ho ancora afferrato. Si parla di 1000 miliardi, quasi tutti a debito, per progetti di sostenibilità ambientale. Quali progetti? In che direzione vanno? Nessuno che me lo spieghi.

Teme che si danneggi la produttività?

Se per proteggere l’ambiente fai chiudere le aziende, come accade con la plastic tax, fai prima a spararti sui piedi.

Intanto il Governo Conte taglio il cuneo fiscale. Soddisfatto?

Quattro lire che non hanno nessun impatto pratico. Sarebbe molto meglio risparmiarle e usarle per dare un messaggio di riduzione del debito. Ma noi siamo fatti così: se ci sono due spicci sul tavolo, li buttiamo via.

Pensa che il governo Conte bis abbia la strada spianata fino alla fine della legislatura?

Si reggono sulla paura di Matteo Salvini. E la paura è più forte della speranza.

Negli Stati Uniti, Donald Trump schiva l’impeachment. Pensa che verrà rieletto?

Sì. I sondaggi vanno in quella direzione. D’altra parte, ha alle spalle un’economia straordinaria. E degli avversari inconsistenti.

Avversari che pasticciano con le primarie, restano profondamente divisi e non dispongono di figure forti.  Il partito democratico americano inizia a somigliare pericolosamente a quello italiano?

Generano delle mezze seghe: nessuno di loro può insidiare il consenso di Trump negli stati chiave. E poi, mettetevi nei panni di un americano: se era disoccupato adesso ha un lavoro. Se guadagnava qualcosa adesso guadagna di più. Se ha messo dei soldi in borsa ha guadagnato come un pazzo. Insomma, con Trump non ci ha perso nessuno.

Un sovranismo vincente?

Diciamo che non ha fatto tutti i danni che si pensava avrebbe fatto.

Dunque il futuro è più americano che cinese?

Se consideriamo i problemi demografici e ambientali cinesi, e le risorse infinite di Usa e Canada, direi di sì: sul lungo periodo, scommetto ancora sull’America.

L’intervista di Federico Novella pubblicata su La Verità, 10.02.2020 (Versione PDF)