Tra gli apprendisti geopoliticanti du jour spopola il concetto di “Reverse Kissinger”, il lavorio diplomatico intessuto dall’Amministrazione Trump per attirare il regime di Putin nella sfera americana e fare fronte comune contro la Cina. Il nome si ispira alla riconciliazione con la Cina, architettata da Nixon e Kissinger agli inizi degli anni 70, in chiave antisovietica. Stavolta si tratterebbe di blandire la Russia in chiave anticinese. Tuttavia, il parterre del Reverse Kissinger ignora le fondamentali diversità storiche e geopolitiche.
L’avvicinamento degli Usa alla Cina maoista negli anni 70 sfrutto una virulenta spaccatura, in corso da tempo, alimentata da scontri ideologici (maoismo contro revisionismo sovietico) ed esacerbata dalla guerra sul confine del fiume Ussuri.
La «diplomazia del ping pong» di Kissinger e la visita di Nixon in Cina nel 1972 si insinuarono sagacemente nel feroce dissidio, concedendo incentivi economici e diplomatici ad una Cina dissanguata economicamente e militarmente vulnerabile alla minaccia sovietica.
In sintesi, le profferte statunitensi fornivano un immediato sostegno alla sopravvivenza e una speranza di ripresa dai disastri economici e umani provocati dal Grande Balzo in Avanti e dalla Rivoluzione Culturale.
Oggi però non ci sono, né si intravedono, conflitti ideologici o territoriali da sfruttare. La partnership di Putin e Xi collima perfettamente con gli interessi dei loro regimi. Cina e Russia sono legate da un’alleanza radicata nella condivisa visione autoritaria nell’ostilità verso l’egemonia occidentale a trazione americana. Basta non ostinarsi a misconoscere l’evidenza, oltre che le dichiarazioni ufficiali sulla “fraterna amicizia”, reiterate solennemente da Xi Jinping 1’8 maggio a Mosca con un attacco verbale alle “prepotenze egemoniche”.
La Russia fornisce alla Cina petrolio e gas a prezzi scontati, mentre la Cina fornisce tecnologia e investimenti, mitigando l’impatto delle sanzioni occidentali. La Russia tollera l’asimmetria nelle relazioni per mancanza di alternative al collasso, mentre la Cina gode dell’invasione dell’Ucraina in quanto mantiene sotto scacco l’Occidente, ne alimenta le divisioni e ne danneggia le economie.
Entrambe le nazioni coltivano assiduamente l’ambizione di guidare blocchi antioccidentali come la Shanghai Cooperation Organization e i Brics, promuovendo un ordine mondiale multipolare. I due eserciti conducono esercitazioni militari congiunte (ad esempio la Vostok-2022) e per di più la Russia fornisce i sistemi antiaerei S-400 e i caccia Su-35. Putin non ricaverebbe vantaggi apprezzabili dal cambio di fronte sollecitato da un Presidente umorale, stizzoso e inaffidabile. Non a caso si beffa delle proposte di pace e delle offerte allettanti presentate da Witkoff. Peraltro, le sanzioni e l’opposizione del Congresso (ad esempio, il Caatsa) limitano il campo degli accordi economici con la Russia, la cui economia, fondata sull’export di materie prime, rimarra strutturalmente dipendente dalla Cina. Al contrario, Putin, anche se al momento alla Casa Bianca gode di ampio credito, è conscio che o fra qualche mese, o dopo le elezioni di midterm del 2026, o dopo quelle presidenziali del 2028, la situazione potrebbe ribaltarsi. Decenni di espansione della Nato, accuse di interferenze elettorali, la guerra ibrida e l’invasione dell’Ucraina hanno avvelenato irrimediabilmente le relazioni tra Stati Uniti e Russia. In sostanza, Mosca considera Washington una minaccia esistenziale, non un partner.
Del resto, come ha sottolineato persino Marco Rubio, la Russia non si fa scrupolo di rinnegare gli accordi sottoscritti se i suoi interessi mutano.
Basta citare tre esempi recenti: 11 ritiro dal trattato Start II nel 2002, la violazione del Memorandum di Budapest con l’annessione della Crimea, la sospensione del nuovo Start nel 2023, che evidenzia il disprezzo di Putin per il controllo degli armamenti.
Il Reverse Kissinger, dunque, è un vagheggiamento destinato a schiantarsi contro la realtà. Gli Usa dovrebbero concentrarsi sul rafforzamento delle alleanze (Nato e partnership indo-pacifiche) e affrontare le vulnerabilità sistemiche che favoriscono la cooperazione sino- russa. Come dimostra la storia, le alleanze tra autocrati possono sgretolarsi, ma fino a quando non accade scommettere sulla conflittualità è autolesionistico. Il genio di Kissinger approfittò di fratture profonde.
La sfida di oggi impone di fronteggiare un mondo in cui quelle fratture si sono risanate.
Il nuovo articolo scritto a 4 mani con Fabio Scacciavillani e pubblicato su Il Sole 24 Ore