I trasferimenti diretti non generano mobilità sociale

Dalla crisi del 2008-09, povertà e disuguaglianze rappresentano il fronte più arroventato dello scontro politico e delle analisi economiche. I tre obiettivi precipui perseguiti dall’intervento pubblico sono: la redistribuzione del reddito attraverso trasferimenti diretti o benefici fiscali; l’accesso universale a servizi pubblici, in primis istruzione e sanità; la promozione della mobilità economica e sociale.

I primi due obiettivi suscitano quasi tutto l’interesse e le passioni (reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali, fisco, pensioni) perché sembrano fruttare immediate ricadute elettorali. Il terzo, a parte generiche lamentazioni sul blocco dell’ascensore sociale, rimane in penombra.

Si tratta di un obiettivo di lungo termine, non appetibile per chi insegue il consenso istantaneo o alimenta la diatriba spicciola. A ciò si aggiunge il fatto che l’efficacia degli strumenti di policy viene raramente esaminata rigorosamente.

Per colmare questa lacuna James Heckman (professore all’Università di Chicago e Premio Nobel per l’Economia) e Rasmus Landersø, hanno intrapreso un monumentale programma di ricerca con la Rockwool Foundation e l’Università of Copenaghen. Una sintesi dei vari studi condotti sui dati della popolazione danese raccolti nell’arco di vari decenni è disponibile in Lessons from Denmark about Inequality and Social Mobility, (Nber Working Paper 28543, marzo 2021).

I cospicui trasferimenti diretti dello Stato danese alle famiglie povere riescono (ovviamente) ad affievolire le disparità di reddito, tuttavia non a promuovere la mobilità sociale intergenerazionale. Il motivo preminente è l’influsso della famiglia. Gli stimoli intellettuali instillati dai genitori nei figli e il loro impulso sulla capacità di apprendimento sono fattori preponderanti nel determinare quale piano raggiungerà l’ascensore sociale.

I trasferimenti diretti (come il reddito di cittadinanza) compensano solo in minima parte le differenze dei punti di partenza e nemmeno i trasferimenti indiretti (asili, scuole e università gratis) riescono a incidere sostanzialmente sullo status quo. Anzi, sono le famiglie più abbienti a sfruttare al meglio le opportunità: ad esempio dell’università gratuita usufruiscono maggiormente le classi di reddito superiori.

Inoltre il ruolo della famiglia nel forgiare le basi del successo si estende anche all’ambiente extrafamiliare: i professionisti istruiti tendono a vivere in zone contigue, dove i figli frequentano compagni di simile estrazione e con cui condividono e consolidano valori, skill relazionali e ambizioni. È l’impalpabile, ma cruciale, dominanza della peer pressure. Persino maestri e professori in questi quartieri sono di solito eccellenti, nonostante i salari siano standardizzati in tutta la Danimarca. Gli insegnanti migliori prediligono le scuole dei “quartieri bene” perché è professionalmente più gratificante avere alunni studiosi e motivati.

Al contrario, la trasmissione intergenerazionale dell’attività criminale o dell’abuso di droghe si rivela una pesante zavorra sulle prospettive future: se un genitore è finito nelle maglie della giustizia penale, i figli hanno molte meno probabilità di mantenere una condotta onesta.

Peraltro le buone intenzioni spesso ottengono risultati controintuitivi: in contesti familiari svantaggiati il sussidio al reddito agisce come un disincentivo per i ragazzi a proseguire gli studi e quindi ad acquisire la formazione adeguata a trovare lavoro.

In definitiva per rompere la trappola dell’origine sociale occorre ripensare l’intervento pubblico dalle fondamenta, istituendo programmi che permettano ai bambini svantaggiati di colmare

il gap con i coetanei più fortunati.

Attenuare l’influenza della famiglia che ostacola la mobilità sociale, richiede il trasferimento delle risorse dai sussidi agli inoccupabili (per i quali servono interventi di qualificazione professionale seri, non i navigator) alla scuola per l’infanzia e ai percorsi di sostegno a tempo pieno durante la scuola dell’obbligo. Ma non è sufficiente dedicarsi solo all’istruzione, è imprescindibile ispirare anche il senso di sacrificio e i valori di onestà proprio nei contesti dove non sembrano attecchire.

Insomma vanno contrastate le cause della povertà e dell’esclusione sociale. Non basta concentrarsi sugli effetti, ricorrendo a forme di redistribuzione costose e inconsistenti, per quanto elettoralmente proficue.

Articolo scritto a 4 mani da Alberto Forchielli e Fabio Scacciavillani, pubblicato su Il Sole 24 Ore il 17 settembre 2021

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