ETF attivi e passivi

Gli Exchange Traded Funds (ETF) sono diventati uno strumento finanziario molto apprezzato perché consente agli investitori specie quelli con patrimoni non milionari di costruire un portafoglio diversificato pagando commissioni di gestione estremamente contenute (a partire dallo 0,2%).
I risparmiatori italiani prediligono gli ETF a gestione passiva, che sostanzialmente replicano la performance di un indice di mercato come il Dax, l’MSCI o l’S&P500 oppure indici settoriali come telecomunicazioni, banche o infrastrutture. Ma i gestori sfornano quasi quotidianamente idee per ETF “esotici” basati su indici di settori di nicchia come ad esempio le terre rare, la cybersecurity, il fintech.

Tuttavia negli ultimi anni sono emersi anche gli ETF a gestione attiva, che sembrerebbero un ossimoro, e in un certo qual senso lo sono, ma aldi là delle questioni semantiche, consentono di ampliare la gamma di strumenti a disposizione dei risparmiatori. Si tratta di ETF che non seguono un indice di borsa, ma i cui gestori assumono costantemente decisioni discrezionali sulla selezione dei titoli e sui loro pesi in portafoglio. La gamma di proposte è amplissima così come il profilo di rischio. Si va dagli ETF dediti a strategie di investimento, come quelle orientate alla crescita, al valore o al reddito fino agli ETF “smart beta” o “strategici”, in cui l’indice sottostante fornisce un’esposizione mirata a fattori come alti dividendi o bassa volatilità. Esistono anche ETF inversi, il cui rendimento è inversamente proporzionale ai movimenti degli indici di mercato.

Questi tipi di ETF non sono veicoli passivi poiché perseguono obiettivi di investimento variegati invece di una tradizionale ampia e diversificata esposizione ai mercati. Una strategia molto popolare ad esempio combina investimenti azionari e opzioni su indici di borsa o su sottoinsiemi dei portafogli detenuti dagli ETF. Infatti il più grande ETF azionario gestito attivamente è il JPMorgan Equity Premium Income che in tre anni ha accumulato 24 miliardi di dollari, (di cui 6,6 miliardi di dollari quest’anno e quasi 13 miliardi di dollari nel 2022). La sua strategia è relativamente semplice ma efficace: investe in circa 100 blue-chip, e vende opzioni call sull’S&P 500. In questo modo ha ottenuto un rendimento annuale dell’11%. È una soluzione ideale in condizioni di mercato stabili o moderatamente in calo, quindi da prendere in considerazione se si prevede nell’immediato futuro una breve e lieve recessione.

Un ETF abbastanza simile è Amplify CWP Enhanced Dividend che vende opzioni solo su una parte del suo portafoglio di circa 25 titoli, in modo da generare buone performance nei mercati in crescita, come nel 2021, quando ha reso il 22,9%, ma limitando le perdite quando il mercato scende. Ad esempio lo scorso anno le perdite si sono fermate al -1,5%.

In sostanza l’evoluzione degli ETF ha appannato la distinzione tra investimenti attivi e passivi. Gli ETF più sofisticati sono di fatto quasi degli hedge fund anche se utilizzano una leva meno estrema dei loro fratelli più blasonati. Per esempio un ETF azionario long/short può bilanciare la sua esposizione lunga vendendo allo scoperto titoli azionari, vendendo allo scoperto un ETF azionario, detenendo un ETF azionario inverso o stipulando un contratto di swap con un intermediario o un prime broker.

Esistono anche ETF copy cat che replicano quanto più possibile le strategie degli hedge fund di maggior successo (quando le loro posizioni sono divulgate pubblicamente) nelle classi long/short, market-neutral, currency-carry, event driven, M&A arbitrage ecc.

Il crescente successo degli ETF più eclettici è testimoniato dal fatto che oltre la metà dei nuovi ETF registrati nell’ultimo trimestre del 2022 in America, erano a gestione attiva, con risparmiatori attirati dalle performance che in un anno di tregenda sono state abbastanza soddisfacenti. Ad esempio gli ETF che investono in aziende caratterizzate da alti dividendi o quelli orientati al “value investing” hanno perso solo pochi punti percentuali.

Insomma il trend verso gestioni più sofisticate è ormai consolidato e per un risparmiatore che voglia uscire dagli ambienti angusti, stantii e costosi delle gestioni tradizionali la scelta è ampia e allettante, soprattutto in America. In Europa l’offerta è meno vasta ma gradualmente il settore finanziario sta proponendo strumenti come quelli quotati a New York. Tuttavia va sottolineato che per investire negli ETF più esotici occorre avere un profilo MIFID da investitore avvezzo al rischio.

 

Il III articolo della trilogia scritto da Fabio Scacciavillani e Alberto Forchielli per la rubrica INGLORIOUS GLOBASTARDS sul magazine INVESTIRE