Un pianeta per vecchi. Nel 2050 commessi e operai ultrasettantenni non salveranno la catastrofe pensionistica mondiale.

È stato dato ben poco risalto al recente studio del World Economic Forum, dal titolo emblematico: “Vivremo fino a 100 anni, come possiamo permettercelo?”, dove hanno preso in esame i regimi previdenziali di USA, Gran Bretagna, Giappone, Olanda, Canada e Australia (in pratica i sei maggiori al mondo), calcolando, su dati del 2015, un deficit complessivo di 70 trilioni di dollari. E, come se non bastasse, per gli inguaribili ottimisti c’è un altro dato che può incrinare il loro buonumore. Difatti se vi aggiungiamo anche Cina e India – i due Paesi con le maggiori popolazioni del pianeta – il “buco” tocca i 400 trilioni di dollari, equivalenti a cinque volte le dimensioni attuali dell’economia globale. Passivo che al 2050 è previsto a quota 224 trilioni di dollari. Numeri semplicemente insostenibili, come ha commentato Michael Drexler, capo del settore finanza e infrastrutture del World Economic Forum: “L’atteso aumento della longevità e il conseguente invecchiamento della popolazione è l’equivalente finanziario del cambiamento climatico”.
Entriamo nello specifico. L’aspettativa di vita dei neonati di oggi è ultracentenaria: 104 in Francia, Italia, Usa e Canada e 107 per i giapponesi. E l’unico modo per frenare il trend – salvo visioni complottistiche con guerre mondiali e/o epidemie e/o carestie scatenate ad hoc per abbassare la popolazione e la sua età media – è quella di alzare l’età di pensionamento in linea con l’aspettativa di vita. Ecco quindi che nei Paesi sopracitati possiamo immaginare da qui al 2050 un’età di pensionamento a 70 anni e oltre. Perché, altrimenti, in assenza di cambiamenti dell’età pensionistica o della natalità, il “tasso globale di dipendenza” – ovvero il rapporto tra quanti lavorano e i pensionati – passerà da 8 a 1 a 4 a 1 entro il 2050.
Il deficit finanziario – si legge nello studio del World Economic Forum – è calcolato sulla base dell’importo necessario in ciascun Paese, includendo contributi dai rispettivi governi, dai singoli e dai datori di lavoro, per fornire un reddito pensionistico pari al 70% del reddito pre-pensionamento, fermo restando che per i redditi più bassi anche quel 70% potrebbe risultare nella soglia di povertà.
Il “buco” maggiore per i sistemi pensionistici si verificherà negli USA dove l’attuale “gap” di 28 trilioni dovrebbe salire a 137 trilioni. Il Regno Unito passerà da 8 trilioni a 33, l’Olanda da 2 a 6, il Giappone da 11 a 26, il Canada da 3 a 13. Per la Cina il deficit balzerà da 11 a 119 trilioni e per l’India da 3 a 85 trilioni.
Per avere un ragionevole livello di reddito pensionistico, secondo lo studio va risparmiato il 10-15% di un salario annuale medio, mentre oggi nella maggior parte dei Paesi il tasso di risparmio è inferiore e andrebbe quindi agevolato un suo innalzamento.
E lo studio non omette dei consigli ai governanti di oggi e di domani, consigli che sfociano nella battutistica involontaria. Si comincia seriamente: vanno date chiare comunicazioni sugli obiettivi di ciascun pilastro dei sistemi nazionali di previdenza e sulle prestazioni che forniranno e vanno inoltre aggregati e standardizzati i dati sulle pensioni in modo che i cittadini abbiano un quadro completo della loro posizione finanziaria. Poi, come detto, il WEF suggerisce che vanno anche sostenuti gli sforzi di alfabetizzazione finanziaria, a cominciare dalle scuole e dai gruppi più vulnerabili. Che ovviamente vuol dire: cittadini fatevi una cultura finanziaria per generare un po’ di ricchezza extra ma che suona tanto alla stregua di vincete al Superenalotto o fate un sacco di soldi in borsa… oppure siete fottuti.
È l’ultima che hai detto.
 
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