MILAN: Sino Europe verso il closing, restano dubbi sui capitali. I retroscena della trattativa.

Si avvicina il closing per la cessione del Milan: entro il 3 marzo – data concordata con Fininvest – la holding di Berlusconi potrebbe finire in mano cinese. Fonti vicine a Sino Europe Sport (SES, il fondo guidato da Li Yonghong) hanno confermato ad AgiChina che gli investitori della cordata cinese verranno in Italia entro il 3 marzo per incontrare Fininvest e chiudere l’operazione. Il Cda ha convocato l’assemblea dei soci che nominerà la nuova dirigenza del club rossonero, con prima convocazione il primo marzo e la seconda il 3. L’intenzione di Sino Europe Sport sarebbe di chiudere in seconda convocazione. Fininvest non ha ancora reso nota la lista definitiva degli investitori, ma sembra che arriveranno da Hong Kong i soldi con cui verrà saldata la caparra: ai 200 milioni di euro già versati, se ne aggiungeranno altri 320, cui vanno sommate le garanzie bancarie, arrivando così a 700 milioni. E’ di questi giorni la notizia secondo cui il fondo SES avrebbe rimborsato il finanziamento di poco più di 100 milioni di euro (830 milioni di dollari di Hong Kong) effettuato da una holding delle Isole Vergini (Willy Shine International Holding Limited) a favore di Rossoneri Sport Investment, la società di SES registrata a Hong Kong. Eppure, da mesi si rincorrono dubbi e indiscrezioni sulla solidità dell’operazione. “I cinesi assicurano che l’impegno finanziario verrà rispettato con o senza l’autorizzazione del governo”, sottolineano le fonti. Sul ritardo del closing, slittato diverse volte, pesano vari fattori: primo fra tutti, la stretta sulla fuoriuscita di capitali imposta dalle autorità cinesi a partire da fine novembre scorso, che per SES si è tradotto in lungaggini burocratiche. Il nulla osta a ogni investimento estero deve arrivare da tre enti: la National Development and Reform Commission (NDRC), il Ministero del Commercio (Mofcom), e la State Administration for Foreign Exchange (SAFE). “In assenza delle autorizzazioni da Pechino, SES ha percorso una strada parallela – sottolineano le fonti – impegnando capitali che sono già fuori dalla Cina. Sono soldi dei medesimi investitori che compongono la cordata. Non sappiamo se appartengono a tutti i soci o solo ad alcuni di questi, ovvero coloro che avevano capitali già disponibili all’estero”.
A pochi giorni dal closing, permangono dubbi anche sulla composizione della cordata. Molti i nomi usciti nelle ultime settimane, tra i quali Huangshi Zhongbang Sports Development, China Industrial Bank Asset Managementdi China, China Huarong Asset e Haixia Haixia Capital.  Secondo quanto appreso da AgiChina, la conferma ufficiale dovrebbe arrivare a giorni e i nomi finora trapelati  – “grandi nomi” – dovrebbero essere confermati. La partecipazione di Huarong (colosso finanziario pubblico con un fatturato di 11,3 miliardi di dollari) è data per certa. Inoltre il gruppo non sarebbe composto da 4-5 società, come sembrava inizialmente, bensì da almeno 8-9. Ma sull’operazione Milan-cordata cinese si concentrano i sospetti di chi crede che dietro ci sia “fuffa”, e che il Milan rischi di diventare “un club di cioccapiatti” (“tirapacchi” in dialetto bolognese). Lo dice Alberto Forchielli, managing partner e fondatore del Fondo Mandarin, che già nel giugno scorso spiegava i suoi dubbi sulla solidità dell’acquisizione. “I soldi per l’acquisto del Milan alla fine arriveranno da fondi offshore e non saranno gli stessi che Sino Europe Sport diceva di aver raccolto. Non sappiamo di chi siano i soldi con i quali i rossoneri stanno per essere comprati”. “Oddio, neanche prima che Sino Europe versasse la caparra a Fininvest sapevamo di chi fossero i soldi, oggi men che mai – aggiunge.  Ma che non si tratti dei capitali delle stesse persone non me lo toglie dalla testa nessuno”.
Non è solo l’introduzione di controlli più stringenti sull’export di capitale ad aver reso questo affare così incerto. “L’acquisizione dell’Inter è andata liscia perché Suning è un investitore solido, credibile, e con una strategia di comunicazione efficace”, scandisce Forchielli. Ma secondo chi lavora a stretto contatto con SES, è difficile fare un confronto con l’altra squadra milanese, di cui si ignora l’intera durata dell’operazione, circolata sulla stampa a cose fatte. SES avrebbe commesso il grande errore di rendere noto l’interesse sul Milan in largo anticipo sulla tabella di marcia, alimentando aspettative. E infatti oggi la comunicazione del fondo è affidata a una società italiana. Una cosa è certa. La mancata autorizzazione del governo cinese potrebbe mutare sostanzialmente la natura dell’acquisizione:  il nulla osta di Pechino serve ad autorizzare l’esportazione del capitale e l’acquisto di quote in una società straniera. In assenza dei permessi, non si tratterà più di acquisto di quote ma di sponsorizzazione, diventando quindi un’operazione puramente commerciale. E a quel punto, addio permessi: per la legge cinese gli investitori possono portar fuori quanti capitali vogliono. “Non potranno più fare il reverse Ipo”, spiega Forchielli. Lo schema che Sino Europe intendeva seguire prevedeva infatti la fusione con una società vuota già quotata – una “shell company” –  rendendo automatica la quotazione del club rossonero per 2miliardi di euro. Che rispetto ai 700 spesi per l’acquisto, era un bell’affare. Ma oggi, probabilmente costretti a concludere l’operazione con una società offshore, questo meccanismo non è più possibile. “Vari padroni con soldi arrivati da chissà dove con l’unico scopo di fare un affare”, dice ancora Forchielli, convinto che “l’unico modo per salvare i rossoneri da un futuro a tinte fosche è tenersi la caparra di Sino Europe e andare avanti con Barlusconi. E fine delle trasmissioni”.
Chi sono i soci cinesi che vogliono comprare il Milan
Fonti vicine al consorzio Sino Europe Sport hanno confermato ad AgiChina che gli investitori saranno in Italia il 3 marzo, data del closing, per concludere l’acquisizione del Milan. Tra i soggetti principali che compongono la cordata, la presenza di China Huarong Asset Management Co. Ltd. è data per certa. Si tratta di un colosso finanziario pubblico che opera nel segmento del debito “distressed”, cioè il debito di emittenti ad alto rischio di crack finanziario. Istituita nel 2012,  è controllata dal ministero delle Finanze e da China Life (il più grande gruppo di assicurazioni statale). La società era conosciuta come China Huarong Asset Management Corporation, una delle 4 maggiori società di gestione di attività finanziarie nate nel 1999  su volontà del governo cinese in risposta alla crisi asiatica del 1997. E’ quotata alla Borsa di Hong Kong dall’ottobre 2015. Suning, che ha comprato l’Inter, è un gigante dell’elettronica ed è già presente nel calcio (possiede la squadra cinese Jiangsu Suning). Huarong è una finanziaria nata per assorbire i crediti inesigibili in pancia alle banche. Cosa c’entra con l’acquisto di una squadra calcistica? Analizziamolo da vicino.
Fattura 11,3 miliardi di dollari Nella classifica delle 2000 aziende più potenti al mondo stilata da Forbes, occupa il 348esimo posto, una posizione di vantaggio rispetto a Baidu e sette nei confronti di Evergrande. Il presidente di Huarong è Lai Xiaomin. Di lui sappiamo che è laureato in economia presso la Jiangxi University ed è stato vice-presidente della China Chamber of International Commerce. A gennaio Lai ha annunciato la costituzione di una nuova società di swap debt-for-equity (lo scambio del debito aziendale con capitale azionario). Il nuovo soggetto si chiama Huarong Ruitong Equity Investment Management Co e ha un capitale registrato di 300 milioni di yuan (43,74 milioni di dollari). A ottobre scorso il governo cinese ha varato un nuovo  piano per tagliare il debito delle aziende, giunto a quota 18mila miliardi di dollari, pari al 169% del prodotto interno lordo. Le aziende in “difficoltà temporanea” ma con un “potenziale a lungo termine” potranno accedere al piano di swap debt-for-equity, mentre le aziende “zombie” – come vengono chiamati gli apparati statali improduttivi – e quelle con situazioni di debiti non ripagati che si protraggono nel tempo, non potranno avere accesso al programma varato dal Consiglio di Stato. Il piano punta a stabilizzare e ridurre il debito delle aziende cinesi nel medio e lungo termine, complicato dagli effetti del rallentarsi della crescita sull’indebitamento del sistema finanziario, soprattutto sul sistema bancario ombra. E così da quando è nata nel 1999, nella pancia di Huarong sono passati non-performing asset per un valore di 680 miliardi di yuan  Nell’ultimo giro di swap debt-for-equity promosso dal governo, Huarong ha fatto affari con 420 grandi e medie aziende statali, per un totale di 69,7 miliardi di yuan.
Alberto Forchielli, managing partner e fondatore del Fondo Mandarin, non ha dubbi: il cv di Huarong chiarisce l’incompatibilità di questa società con l’acquisto di una squadra calcistica. “Un fondo nato per ristrutturare le società indebitate non può comprare nient’altro che servizi finanziari – dice il manager-. Huarong può avere al massimo un ruolo fiduciario e quindi nascondere altri creditori. E’ fuffa: sono fondi di fondi che non possono investire all’estero”.
Non tutti la pensano così. A fugare i dubbi sulla credibilità finanziaria degli investitori “la norma italiana anti-riciclaggio dovrebbe bastare”, dicono fonti vicina a SES. “I capitali, che arrivino dalla Cina o da una società offshore, dovranno passare sotto la lente di ingrandimento tanto dell’agenzia delle Entrate quanto della Banca d’Italia”.  Tra le novità della direttiva 2015/849/CE,  infatti, c’è l’inserimento dei reati fiscali come attività criminosa. Non solo. L’origine chiara del capitale è un vincolo contrattuale del closing: “Nel consorzio figurano investitori istituzionali, tra cui Huarong, società solide e tracciabili”. Se il profilo pubblico non è garanzia di solidità per Forchielli, a Pechino sono convinti che a questo punto l’operazione debba andare avanti: “I soldi della seconda caparra arriveranno da Hong Kong e in un secondo momento, ottenuto il nulla osta, i restanti potrebbero arrivare dalla Cina”.
Articolo di Alessandra Spalletta pubblicato su AgiChina

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