L’Asia sulla bilancia (parte 2). Criticità e punti di forza tra presente e futuro del continente globale.

Proseguiamo la panoramica iniziata lo scorso “Forchielli della Sera” su presente e futuro del continente asiatico, dicendo che, nell’insieme, i dati socio-demografici stanno lavorando contro gli Stati dell’Asia. In Giappone assistiamo a un inevitabile quanto preoccupante – ovviamente in termini economici! – invecchiamento della popolazione; quindi, come da noi, la conseguenza significa esorbitanti spese per troppe pensioni e assistenza sociale. E a parte Singapore, uno dei posti migliori al mondo dove vivere, l’Asia in generale ha una popolazione giovanile scarsamente istruita.
Per la Cina è così nei grandi numeri ma tanto si sta facendo a livello universitario. Mentre la politica di lungo corso del figlio unico, insieme al desiderio di molte famiglie di avere un maschio, addirittura abortendo in caso contrario, oltre a un calo demografico, ha fatto sì che la popolazione maschile sia molto più numerosa di quella femminile. Inoltre, il flusso costante dalle campagne alle megalopoli – per altro ancora inquinatissime – prosegue rapidamente, con le malattie respiratorie – già oggi una delle principali cause di morte – che rappresentano ormai una piaga sociale; per non parlare anche qui dell’invecchiamento della popolazione, a differenza del Giappone, senza nessun paracadute sociale.
Se da un lato il Partito comunista cinese ha rappresentato una grande forza unificante del Paese, dall’altro lato è anche il primo motivo di mancanza di fiducia tra cittadino e Stato, oltre a essere un freno alle riforme politiche. E tutto ciò sul lungo periodo aumenta il rischio di disordini sociali.
In India abbiamo una problematica ancora peggiore: il trattamento riservato ancora oggi alle donne è vergognoso, non solo per la poca emancipazione ma per le ignobili violenze reiterate.
Tornando ai giapponesi, quando pensano al loro futuro, sono pessimisti quasi quanto gli italiani; questo perché ci accomuna la stessa diffidenza verso la classe politica. In Corea del Sud la situazione è uguale a causa dei troppi scandali interni. In Indonesia sono messi ancora peggio perché oltre alle diverse insurrezioni di un passato non lontano, le violenze dell’estremismo religioso sono sempre pronte a esplodere, in particolare nel Sulawesi Meridionale.
In Malesia, anch’essa afflitta da corruzione e lotte politiche, la popolazione cinese è sempre a rischio violenze. In Myanmar è la popolazione di etnia Rohingya a essere perseguitata. E Vietnam, Laos e Cambogia sono sotto il giogo di regimi autoritari. La Thailandia è scossa da violenze nel sud e da instabilità politica nella sua capitale. Vi basta? No, non ancora.
L’Asia, con il tentativo fallito qualche decennio fa della Southeast Asia Treaty Organization e con l’Asean – dieci nazioni dell’Asia sudorientale – che per sua natura non ha particolari poteri vincolanti, è un continente senza organizzazioni unificanti, come possono essere (in realtà sempre meno anch’esse) NATO e UE.
Poi ci sono veri e propri venti di guerra per questioni di sovranità territoriale. Nel Mar Cinese su scogli e terre più o meno artificiali tra Cina, Giappone e Filippine. Le isole Curili sono contese da Giappone e Russia fin dalla Seconda guerra mondiale. Infine vi è la disputa sulle Rocce di Liancourt (o Dokdo-Takeshima), un piccolo gruppo di isolotti nel Mar del Giappone, ancora tra i nipponici – che alla fine se c’è da far casino ci sono sempre – e Corea del Sud.
Per non parlare dell’incognita rappresentata dalla Corea del Nord, con le sue armi nucleari e i missili a lungo raggio.
Dalla Seconda guerra mondiale, gli USA hanno supervisionato sulla stabilità continentale, per un ruolo che dopo Obama, con Trump e successivi presidenti, molto probabilmente tenderà a essere sempre più defilato. Fatta questa disamina piena di criticità, in conclusione cosa vale la pena di dire sull’Asia?
Be’, per quanto mi riguarda parlano i fatti. Nel 2017 ho comprato casa a Bangkok. Perché? Perché, nonostante tutto, è un continente decisamente vivo. Perché, a differenza della nostra amata e decrepita Europa, è un concentrato di dinamiche vitali e, soprattutto, pieno di opportunità da cogliere.
 
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