La speranza applicata. Il business che parte dai margini esterni dell’iceberg.

Viviamo nell’epoca storica più veloce di sempre. È un tempo accelerato dai continui progressi tecnologici, ma è accelerato anche da altre variabili eccezionali; come, per esempio, la globalizzazione e i cambiamenti climatici. Sono aspetti fondamentali che stanno rimodellando la politica, i luoghi di lavoro, le comunità e l’etica internazionale. Vivere con successo questa età dipende dalla nostra capacità di adattamento. E secondo Thomas Lauren Friedman, saggista americano di successo, editorialista di punta del New York Times e plurivincitore del premio Pulitzer, sono le comunità locali che fanno la differenza per affrontare al meglio le sfide della nostra epoca.
La crisi – e l’insoddisfazione – del ceto medio americano e il relativo voto di protesta che ha portato all’inaspettato trionfo di Trump sono un triste aspetto di queste accelerazioni e della incapacità del “Sistema Paese” statunitense di saperle gestire. Perché, in generale, si può ben dire ormai che l’innovazione e l’attività economica hanno un percorso sempre più discordante. Così gli ecosistemi d’eccellenza intorno a Boston e San Francisco spostano il sapere collettivo più avanti e producono ricchezza mentre, al contrario, vaste aree della provincia americana sono in grande sofferenza con i lavoratori che migrano di città in città in cerca di fortuna mentre altre idee di business e/o tecnologie emergenti, come quelle del “ride sharing”, dei droni e dei veicoli senza conducente, hanno il potenziale per ridurre in tempi brevi i ricavi dell’indotto tradizionale delle città che storicamente rappresentavano il cuore dell’industria automobilistica e di quella aerea. Con il sogno americano che si trasforma in un incubo.
In America ciò accade anche perché il “pachiderma” dell’amministrazione federale non è abbastanza rapido per adattare l’intero Paese al mondo che accelera così velocemente. In tal senso Friedman scrive: “Abbiamo bisogno di invertire la centralizzazione del potere che abbiamo conosciuto nel secolo scorso in favore del decentramento perché la burocrazia del governo nazionale è troppo lenta per riuscire a stare al passo del mondo che cambia. E alle mancanze dell’amministrazione centrale devono sopperire le singole località grazie alla loro potenziale flessibilità. Esse, difatti, fanno sì parte di un iceberg, ma, vivendo ai suoi margini, sentono prima del nucleo ogni variazione di temperatura e di vento e hanno quindi la necessità-opportunità di reagire più rapidamente”.
Che poi, in parallelo, è il concetto che per l’Italia auspica Il potere è noioso (Baldini & Castoldi, 2016, pagg. 93-94): “È tempo di tornare a muoversi singolarmente o in piccoli gruppi per fare quello che lo Stato non farà mai. Crescere partendo dalle nostre eccellenze. L’Italia è fottuta, ma Imola no. La Regione Emilia Romagna è altrettanto fottuta, ma Imola no. Come d’altronde tutti i micro-territori che possono e vogliono auto-globalizzarsi. Nel senso che il governo e le istituzioni centrali sono bollite, ma le piccole comunità non lo sono affatto, perché oggi sono in grado di collegarsi direttamente con il resto del mondo, creando un fi lo diretto tra eccellenze, mettendo in contatto i propri distretti produttivi con la Germania o il Canada, tanto per dire, bypassando lo Stato, dimenticandosi di essere in Italia. Servono idee chiare e condivise e una forte coesione sociale ma è l’unica strada possibile”.
E negli USA, anche fuori dal giustamente celebrato circuito di eccellenze assolute a livello mondiale intorno ai poli universitari della Silicon Valley / San Francisco e di Harvard-MIT / Boston, vi sono comunità locali che stanno dimostrando una maggiore volontà di stare al passo coi tempi, come la città di Detroit in Michigan e le aree metropolitane di Minneapolis-Saint Paul in Minnesota e di Lexington-Louisville in Kentucky e anche di regioni come il Michigan e la Carolina del Sud, con centinaia di iniziative: da importanti programmi di apprendistato a investimenti dell’amministrazione pubblica senza precedenti, con nuove opportunità di business anche in settori emergenti.
E lo slogan che si è inventato Thomas Lauren Friedman per definire il percorso avviato da queste comunità locali è: “Il business della speranza applicata”.
Ed è uno slogan semplicemente strepitoso – d’altronde è un pluripremio Pulitzer non ha caso – perché coglie nel segno.
Sforzarsi di lavorare insieme per inseguire il progresso, accantonando il pessimismo e la partigianeria, è prima di tutto una straordinaria occasione per sperare in un domani migliore.
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