Campus universitari in periferia per rilanciare atenei e patrimonio urbano

Vogliamo avanzare una proposta: l’Italia ha bisogno di decongestionare le città universitarie medio-grandi trasferendo le università in campus periurbani, su aree demaniali o agricole limitrofe connessi da ferrovia leggera o bus rapidi. In vent’anni, un programma nazionale di una quarantina di campus (sul modello funzionale delle grandi università pubbliche americane) consentirebbe quattro risultati benefici: atenei moderni ed efficienti; centri storici di nuovo vivibili; riattivazione del patrimonio urbano oggi “bloccato” in micro-locazioni per studenti; recupero di aree periferiche o interne oggi in declino e abbandono.

Il contesto è noto. Città come Bologna, Padova, Pisa, eccetera, hanno un’offerta residenziale totalmente inadeguata alla dimensione delle università ivi presenti. Nelle tre città menzionate gli iscritti sono (nell’ordine) 90mila, 74mila e 46mila; i residenti 393mila, 210mila e 90mila. Rapporti assurdi che spiegano le tensioni sugli affitti, l’espulsione della classe media, il mancato sviluppo di attività produttive terziarie altre da quelle collegate alla vita universitaria e il degrado in molti aspetti della vita cittadina. Questa situazione, inoltre, nega alla radice un effettivo diritto allo studio: gli affitti elevatissimi selezionano per reddito, impedendo l’accesso effettivo all’università ai meno abbienti la cui esperienza formativa si trasforma in defatigante pendolarismo. Questa situazione non crea solo tensioni interne al corpo studentesco e fra questo e i residenti della città ma degrada anche queste ultime. Le risposte adottate nei decenni precedenti — bonus, micro-bandi, riusi estemporanei — hanno prodotto un patchwork fallimentare. Serve una politica della formazione universitaria che ne valorizzi la funzione sociale eliminando il mono-funzionalismo parassitario a cui grande parte del patrimonio edilizio di questi centri urbani viene ora destinato.

Campus periurbani integrati. Ogni campus concentra aule, biblioteche, laboratori, uffici docenti, residenze e sport per 20-30mila studenti, garantendo un collegamento centro-campus in 30-40 minuti. La localizzazione periurbana riduce i costi e consente edifici moderni ed efficienti. Soprattutto, rende possibile una vera vita universitaria centrata sull’interdisciplinarietà della didattica/ricerca e sulla socializzazione dei giovani.

Rientro in città di attività terziarie qualificate. La liberazione graduale di migliaia di micro-stanze in centro consente: (i) riconversione residenziale per famiglie e single a reddito medio, attenuando i canoni; (ii) trasformazione progressiva in superfici per utilizzi ad alto valore aggiunto (servizi professionali, cultura).

Rivitalizzazione di periferie e aree interne tramite “ancoraggio” universitario. Campus ben progettati creano esternalità di conoscenza fra discipline e ricercatori, permettendo la creazione di legami con imprese innovative. La letteratura su agglomerazione e spillover documenta effetti locali su produttività, brevetti, nascita d’impresa e attrazione di capitale umano. Oxford, Cambridge, Stanford o Cornell sarebbero – senza le eponime università – sperduti paesetti di campagna: gli insediamenti di eccellenza catalizzano filiere hi-tech e servizi ad alta intensità di conoscenza nel raggio di pochi chilometri. Per l’Italia, collocare campus in poli periferici o aree interne connessi alle reti di trasporto significa attivare domanda privata e occupazione qualificata dove oggi prevalgono rendite immobiliari o sottoutilizzo del suolo.

Obiezioni prevedibili. “Consumo di suolo”: un campus medio richiede 40-60 ettari; le cinture periurbane offrono superfici marginali a bassa resa. La compensazione ecologica (rinaturalizzazioni, corridoi verdi, gestione idrica) va integrata in progetto.

“Allontanate gli studenti dal centro”: 15-20 minuti su TPL dedicato sono meglio di 60 fra bus e treni congestionati; la vita urbana non si prosciuga, si rende sostenibile e si riduce il rischio di stagnazione economica che la rendita immobiliare genera.

“Costi eccessivi”: in un arco di vent’anni il costo per posto letto e mq di laboratorio è inferiore al restauro sussidiato ed estemporaneo in centro storico. Soprattutto, il costo va commisurato all’enorme beneficio: permettere finalmente alle giovani generazioni italiane un’esperienza universitaria paragonabile a quella dei loro coetanei di altri Paesi europei.

Gli strumenti esistenti (legge 338/2000, bandi housing, riforme PNRR) sono totalmente insufficienti perché dettati da una visione antiquata dell’università, del suo funzionamento, del suo ruolo sociale. Vanno ripensati radicalmente attraverso un piano nazionale di campus universitari, per il quale possono e devono essere di stimolo le amministrazioni comunali delle grandi città universitarie, Bologna in primis.

La nostra non è una proposta “contro” le città universitarie: è l’unico approccio moderno e orientato al futuro per restituire ai centri storici la loro funzione, agli studenti condizioni dignitose e agli atenei la possibilità di competere in Europa e nel mondo.

Il nuovo articolo scritto insieme a Michele Boldrin, pubblicato su Il Sole 24 Ore