Usiamo la Nato per proteggere le nostre città

Gli attentati con cui l’ISIS ha di recente insanguinato l’Europa , portando terrore e morte nel cuore stesso delle Istituzioni Comunitarie e della città che di esse è divenuta il simbolo , hanno innescato un dibattito tanto importante quanto tardivo sui provvedimenti da adottare per prevenire in futuro il ripetersi di simili attacchi .

Fra tutte le misure suggerite quella che sembra raccogliere i maggiori consensi, ed appare in teoria  come la più rapidamente realizzabile , è centrata sulla possibilità di un maggiore coordinamento fra le intelligence nazionali , di cui si potrebbe al limite arrivare a prevedere persino la fusione.

Si tratta in  realtà di una idea già prospettata anni fa  ,allorché si verifico’ l’attacco alle Torri  Gemelle , cui pero’ ora i recenti sanguinosi episodi e la coscienza della inadeguatezza dimostrata dall’Occidente nel campo della prevenzione informativa conferiscono rinnovata attualità e vigore.

Del resto nell’ambito delle Organizzazioni Internazionali di cui siamo membri esistono già strutture che , qualora adeguatamente utilizzate , potrebbero se non altro servire da base per la costruzione di qualcosa realmente comune. Il caso più eclatante e’ quello della Unione Europea che dispone addirittura di un Coordinatore Anti Terrorismo inserito nell’ambito del Servizio per l’Azione Esterna . Per la sua opera egli si avvale non solo dello European Intelligence Analysis Center (INTCEN) ,  ristrutturato nel 2012 e dotato di circa 160 dipendenti ed  un  bilancio di circa 20 milioni di euro , ma altresì di quanto può  pervenirgli dal settore informazioni dello Stato Maggiore Internazionale della UE.  Per comune ammissione  il vero limite dell’INTCEN consiste pero’ nel fatto che esso non disponga di fonti proprie per l’acquisizione delle notizie , finendo quindi col dipendere totalmente dalla disponibilità a cooperare dei vari Stati membri dell’Unione.

Più o meno analoga si presenta poi la situazione della Alleanza Atlantica , ove è stato creato nel 2006 il Nato Intelligence Fusion Center  (NIFC) , dislocato nel Regno Unito e dotato di un organico che impegna ormai più di 200 persone, fra militari e civili. Il compito del NIFC , che come il suo omologo europeo non dispone di proprie fonti informative , è definito con estrema chiarezza come quello di “to share and not to protect”. Si tratta quindi di una vera e propria camera di compensazione ove dovrebbero confluire , per essere poi integrate in un tutto coerente , le informazioni provenienti dai 26 paesi NATO che hanno aderito alla iniziativa .

Esistono quindi già , sia in ambito europeo che nel contesto atlantico ,  strutture che potrebbero  condurre ad una reale condivisione delle informazioni  e dispongono altresì di mezzi , organici e finanziari , forse non del tutto adeguati ma in ogni caso di rilievo.  Non altrettanto , purtroppo , si può dire dei risultati sino ad ora conseguiti , anche se si tiene conto , come scusante , dell’abitudine dell’Alleanza Atlantica a concentrare la propria attenzione più sui reali o potenziali teatri operativi esterni che sul territorio dei paesi membri.  

Tanto per  l’atlantico NIFC , quanto  per l’europeo INTCEN il vero problema dipende in ogni  caso dalla esistenza o meno di una reale e corale disponibilità a cooperare , condividendo tutte le informazioni in possesso ,  che coinvolga e motivi i singoli paesi membri delle Organizzazioni , e di conseguenza le loro intelligence . Sino ad ora ciò non si è verificato , cosa ben comprensibile se si considera come i servizi informativi siano di solito orientati alla difesa di interessi  nazionali se non incompatibili per lo meno diversi , o addirittura divergenti , di quelli di altri Stati che pur restano alleati ed amici. Si tratta di un fenomeno che si era attenuato con il progredire della costruzione europea , ma che ha acquistato nuovo vigore nell’ultimo decennio con la progressiva rinazionalizzazione delle politiche dei membri della UE.

Per cambiare strada sarebbe quindi determinante il fatto che tutti riconoscessero al terrorismo internazionale una potenzialità di rischio tale da convincerli ad accantonare momentaneamente le differenze di visione e di obiettivi esistenti in altri settori. Da non dimenticare pero ‘ come ,  anche se ciò’ avvenisse , la strada da percorrere rimarrebbe poi egualmente difficile , considerati la complessità ed il frazionamento della comunità dell’intelligence.

Gli Stati Uniti hanno diciassette organismi che operano nel settore , più uno per il  coordinamento . Alla Francia ne vengono attribuiti diciannove . In Belgio sono tanti che nessuno azzarda una cifra …

Da noi , grazie ad una buona legge mirata alla razionalizzazione del comparto , la situazione si presenta decisamente migliore  , pur nella Inevitabile  sopravvivenza di rivalità , doppioni e mentalità superate residuali. Dobbiamo dunque limitarci a prendere atto di uno stato di fatto negativo e rinunciare definitivamente all’idea di una struttura sovranazionale ed efficiente? Tutto il contrario, considerato anche come la molla più’ forte ed efficace di tutte , quella della necessità e della sopravvivenza , ci stia ineluttabilmente indirizzando nella direzione di una intelligence occidentale che risulti , se non unitaria , perlomeno strettamente coordinata !

L’articolo è già stato pubblicato su La Stampa, 15.04.2016

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