«Un polo della ceramica alto di gamma»

Graziano Verdi con Forchielli continua nel suo progetto aggregatore. Una nuova fabbrica in America, i lavori tra 2018 e 2019.
<< All’orizzonte la trasformazione di Italcer in una public compagny >>
 
I rumors, lungo tutto il distretto di Sassuolo, sono durati un annetto buono. «Ma cosa farà Graziano Verdi?» era, nel 2016, una domanda ricorrente tra gli addetti ai lavori della piastrella. Verso Natale, la nebbia si è diradata: si chiama Italcer, la nuova creatura del manager ex-Iris, che ne condivide il controllo con Mandarin Capital Partners, operatore di private equity fondato da un amico di lunga data, Alberto Forchielli, oggi noto anche come opinionista internettiano. Mandarin ha cercato Verdi certo per il suo passato, in cui convivono un trentennio speso nella «Piastrella Valley» e un’esperienza di primo piano su Piazza Affari: grazie al manager felsineo, GranitiFiandre fu la prima matricola del segmento Star nel 2001, e nel 2003 una classifica de il Sole 24 Ore la indicò come la migliore società quotata italiana per il ritorno sul capitale di medio periodo, migliore persino delle grandi utility energetiche e telefoniche. Le prime stime trapelate parlano di un obiettivo di fatturato oltre i 300 milioni di euro, per una forza lavoro complessiva che potrebbe raggiungere le 500 unità nel 2020; ma, con un’ulteriore espansione per linee esterne, quelle cifre potrebbero essere prudenziali. I primi due colpacci sono stati proprio un player romagnolo, La Fabbrica di Castel Bolognese; e l’umbra Tagina, per il cui acquisto è stata firmata una lettera di intenti con la famiglia Moriconi.

Presidente Verdi, il progetto Italcer pare molto ambizioso.

«Sì, Italcer intende divenire un primario polo aggregatore di aziende che abbiano la propria specializzazione nella ceramica alto di gamma. Quello che cerchiamo sono le economie di scala, le sinergie sul versante dei costi; e, sul versante dell’offerta commerciale, la nostra sfida consiste appunto in una grande operazione di marketing che valorizzi il made in Italy. La Fabbrica e Tagina sono due ottimi esempi di marchi tricolori già dotati di grandissima visibilità».

Italcer si candida dunque a un ruolo molto attivo in quel processo di fusioni e acquisizioni che per il comparto ceramico si profila inevitabile, e che in parte è già in atto
.
«Sì, con Mandarin Capital Partners ho condiviso un’analisi di base, e cioè che nel distretto esistano importanti opportunità di consolidamento, soprattutto nelle aziende che si rivolgono alla fascia alta del mercato. E, mi preme specificare, il nostro non è un progetto mordi e fuggi, ma un vero progetto industriale. All’orizzonte, c’è la possibilità di trasformare un giorno Italcer in una public company quotata».

Lei è stato uno dei primi manager a credere nelle lastre, le piastrelle di grandi dimensioni che hanno rivoluzionato il settore. Non pensa che oggi la ceramica possa soffrire la forte concorrenza di altri materiali, come quarzi e marmi?
«No, penso che siamo solo all’inizio di un percorso in cui vedo più opportunità che minacce, perché le lastre hanno allargato il campo di applicazione della ceramica fino addirittura alle porte delle case o ai rivestimenti esterni».

Un altro vostro obiettivo dichiarato è di costruire negli Stati Uniti una fabbrica 4.0. Quanto è distante questo progetto? Lei hai già un’esperienza sul campo, visto che con GranitiFiandre curò la realizzazione degli stabilimenti esteri in Tennessee e in Germania, nel Brandeburgo.
«Abbiamo già opzionato dei terreni per quello che sarà un investimento green field da far partire tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, e avviato negoziati per la costruzione degli impianti».

L’America filo-protezionista incarnata da Donald Trump non le fa paura?
«Le politiche promesse a tutela della manifattura locale non possono che favorire chi adotta scelte come la nostra. Tuttavia, penso che buona parte degli annunci di Trump non si realizzerà: a fermarlo saranno o il Congresso o la sua stessa amministrazione. Gli Stati Uniti sono da sempre i paladini del libero commercio, e sanno bene che i dazi ingiustificati rappresentano più un problema che un vantaggio, perché nel lungo periodo creano povertà. Il fabbisogno di piastrelle oltre l’Atlantico è in crescita così decisa (da 231 a circa 270 milioni di metri quadrati annui solo tra 2014 e 2016, e con solo 80 milioni di produzione interna, ndr) che non penso possa essere supportato esclusivamente dalle fabbriche locali».

A proposito di libero commercio, il suo maestro Romano Minozzi ha sempre deprecato la scelta del Wto, nel 2001, di far entrare la Cina.
«Sono totalmente d’accordo con il dottor Minozzi: un Paese non può godere dei benefici di un circolo virtuoso come il libero commercio mondiale senza accettarne le regole. Adottare politiche di chiusura, di protezione delle produzioni domestiche è una cosa assolutamente positiva se si è di fronte al dumping distorsivo, quello che si verifica quando il pricing non corrisponde al costing. L’operato di Confindustria Ceramica, che a inizio del decennio ha ottenuto dall’Unione europea i dazi contro i principali produttori cinesi, è stato assolutamente meritorio».

In pubblico lei ricorda spesso di non aver mai frequentato master all’estero, ma di aver frequentato il «Master Minozzi» in Iris e GranitiFiandre. A Forchielli lo ha ricordato?«Forchielli lo sapeva già, penso che sia stata una delle cose che ha apprezzato di più in me».

Lei è un grande appassionato di basket, sport che ha seguito come mecenate-sponsor e che ha praticato nelle serie minori emiliane. E oggi?
«Come giocatore ho smesso due anni fa, ora mi dedico alle lunghe distanze, alla corsa. Ma rimango un grande appassionato della palla a spicchi, e di Basket City: sono uno dei pochi che riesce a scaldarsi sia per la Vitus sia per la Fortitudo».

Nel pallone, invece, la fede è una sola.
«Sì, lì la mia passione era ed è il Bologna».
 
Intervista a Graziano Verdi, Corriere di Bologna 16.05.207

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