Un nuovo sceriffo in città (seconda parte). La transizione epocale tra la fine dell’era americana e l’inizio di quella cinese.

Continuando il discorso dal Forchielli della Sera del 23 maggio, si può dire che complessivamente la Cina tende ad agire con prudenza, su obiettivi e con mezzi limitati e in un tempo circoscritto, ma una volta che è in ballo – per esempio nelle guerre di Corea, India e Vietnam – investe tutto il potenziale a disposizione per raggiungere i suoi obiettivi. E non si fa condizionare dall’opinione pubblica, come, per esempio, è accaduto recentemente con i “rientri” di Hong Kong e Macao.
Inoltre, a differenza di noi occidentali – USA e UE –, è notoriamente indifferente al modo in cui i suoi partner diplomatici e commerciali possano organizzare o condurre i loro affari interni. Non hanno da esportare i valori democratici e non cercano di omologare gli altri alle loro norme e desiderano sempre salvare le apparenze, anche se si muovono senza regole.
Pensando al nuovo ordine negli affari mondiali, intorno alla Cina il contesto è tanto potente quanto vitale con India, Giappone e Corea del Sud, tra economie formidabili e grandi capacità militari. Con scontri ai confini anche potenzialmente gravi. Misurazione delle rispettive forze. Strategie commerciali in continua trasformazione. Di fronte a questo scenario da film kolossal hollywoodiano con protagoniste le grandi e vitali potenze asiatiche, il diplomatico Chas W. Freeman Jr. – ormai una presenza costante nelle mie riflessioni geopolitiche – si rammarica del fatto che gli USA hanno ancora l’idea (fallace) di esercitare tuttora un controllo sulla regione. Mentre, per lui, il declino statunitense nell’area non è solo relativo al rapporto con la Cina ma anche verso le altre grandi realtà regionali, sempre più autosufficienti.
Sia chiaro, per Freeman Jr., siamo dinanzi a un processo lento. Nel senso che nessuno di loro rinnega l’alleanza con Washington, semplicemente ne avranno sempre meno bisogno e di conseguenza agiranno sempre più in modo indipendente.
Ecco che il ruolo della Cina come governance prima regionale – ormai un dato di fatto – e poi globale crescerà sempre di più. Con l’America che al contrario giocherà sempre più un ruolo in difesa.
Non è fantascienza. Anzi, lo è! Perché il progetto cinese “Belt and Road for International Cooperation”, già partito e illustrato due settimane fa a Pechino davanti ai rappresentanti di tutto il mondo che conta, ONU, Banca Mondiale e FMI compresi, si avvicina alla fantascienza come visione – una nuova “Via della Seta” tra Cina ed Europa per velocizzare e aumentare il commercio (con la Russia come transito e gli USA in secondo piano) – e come investimenti – 80 miliardi di dollari di investimento cinese e 502 miliardi di dollari investiti in 62 Paesi entro il 2022, per un trilione di dollari totali sul tavolo entro il 2026! – non possono che collocare la Cina al centro del nuovo ordine economico mondiale.
Ancora Freeman Jr. valuta del tutto inadeguata l’amministrazione Trump per gestire questo passaggio epocale. Fortunatamente, secondo lui, ci sono tutte le ragioni per essere ottimisti sul futuro, in primo luogo nello scenario più immediato; quello dell’ordine emergente nella regione tra Asia e Pacifico. Perché l’area è abbastanza grande per accogliere una serena interazione tra gli attori in campo: prima Cina e Stati Uniti e poi a seguire le altre grandi potenze come India, Indonesia e Giappone; con spazi di manovra anche per Australia, Corea del Sud, Pakistan e Vietnam.
Ottimismo dettato dal fatto che con ogni probabilità queste dinamiche saranno sempre più economiche piuttosto che militari. Mentre nel lungo periodo, anche in funzione della nuova “Via della Seta”, i dubbi non ci sono. Il nuovo sceriffo in città sarà la Cina, alle sue condizioni.
 
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