Sciiti contro sunniti. Quando forse e' meglio non scegliere…

Sciiti e sunniti . Due campi contrapposti ormai da quasi millequattrocento  anni . Due avversari entrambi convinti di possedere l’unica verità , e di avere quindi Dio dalla propria parte. Due rivali avvinghiati in una lotta fratricida in cui il mondo sciita , fortemente minoritario , finisce pressoché’ costantemente col soccombere . Confermando magari , con l’involontaria ironia che spesso prospera nella storia , il detto attribuito a Napoleone secondo cui “Dio ama soltanto chi ha i battaglioni più grossi”.

Si è trattato di una lotta che ha interessato nei secoli l’intero mondo arabo , finendo poi col coinvolgere anche Turchia ed Iran senza però arrivare mai ad estendersi ,  se non molto marginalmente , all’intero ecumene islamico.

Parimenti marginale allo scontro e’ altresì sempre rimasto l’Occidente , del tutto restio -anche nel periodo della sua massima espansione coloniale in Medio Oriente e Nord Africa- a lasciarsi coinvolgere in diatribe che rivestissero insieme carattere secolare e religioso.

Al massimo , allorché posto nell’alternativa di dover scegliere fra uno o l’altro dei due contendenti , o di condannare gli estremismi dell’uno o dell’altro dei due campi , l’Occidente si è limitato ad allinearsi con chi appariva meno pericoloso o fastidioso in quel momento . Salvo poi cambiare opinione e partito , con una alternanza fattasi col tempo pendolare , non appena il mutare della situazione generava equilibri radicalmente differenti.

Così , tanto per limitarci agli ultimi cinquanta anni , abbiamo dapprima condannato l’Iran sciita di Komeini e degli ayatollah bollandolo come potenza rivoluzionaria , minaccia seria per l’ordine costituito , rogue state e potenziale pericoloso sostenitore del terrorismo. Nel contempo , con una certa consequenzialità , appoggiavamo il campo sunnita impegnato nel teatro del conflitto afghano contro i russi ed in quello mesopotamico della guerra fra Iran ed i Iraq.

La successiva necessita’ di intervenire contro Saddam Hussein e gli attentati di Al Qaida ci hanno però rapidamente convinto di come non tutto quello che era sunnita fosse buono. Abbiamo così’ rapidamente cambiato fronte , riaprendo tra l’altro con Teheran dialoghi e collaborazioni da tempo interrotti. Lo sviluppo del programma nucleare iraniano ha però in seguito rapidamente riportato il pendolo ad oscillare di nuovo in direzione opposta , mentre i sunniti tornavano buoni ed agli sciiti – fossero essi in Libano , Siria , Iraq , Bahrein Iran , od altrove – veniva attribuita ogni possibile sorta di cattivi propositi.

Un equilibrio instabile che la successiva firma dell’accordo nucleare fra l’Occidente e Teheran , nonché l’atroce progressiva affermazione dell’ISIS sunnita , hanno rapidamente rimesso in discussione.

Questa volta però la situazione è ben più grave e complessa di quanto essa non fosse nei casi precedenti.

Ci troviamo infatti nel bel mezzo di un periodo di radicali cambiamenti che investe non soltanto il MedioOriente ma anche la Penisola Arabica , il Golfo Persico e l’intero Nord Africa ivi compreso il Sahel. Che pone irreversibilmente in discussione il tracciato di frontiere divenute obsolete , preludendo quindi alla nascita di nuovi stati , nonché alla sparizione o al ridimensionamento di altri . Che mette addirittura in forse lo stesso concetto westfaliano di stato , richiamando i fedeli attraverso l’idea del Califfato alla iniziale unitarietà del mondo islamico sunnita. Che innesta infine sul tradizionale quadro dello scontro tra due rivali , di per se’ già molto difficile da gestire, una lotta senza esclusione di colpi tra contendenti troppo numerosi , ciascuno dei quali appare ferocemente intenzionato ad imporre il proprio predominio in ambito sunnita.

Difficile per noi , se non addirittura impossibile , continuare a mantenere un ruolo marginale in queste condizioni . Ce lo impediscono da un lato l’entità degli interessi in gioco in una area fondamentale per il nostro rifornimento energetico, dall’altro le strategie adottate da alcuni dei protagonisti del campo sunnita. Ci si riferisce in particolare ad una Turchia  che sta utilizzando la minaccia di aprire le porte ad un devastante flusso di profughi per costringere l’Europa a concessioni altrimenti impensabili . E che lo fa con una efficacia eguagliata soltanto dalla sua spregiudicatezza. Senza poi dimenticare l’ISIS , chiaramente intenzionato a trasformare le nostre città’ in teatri di operazioni in cui poter vantare quei successi di immagine che le sono indispensabili per mantener inalterato il flusso di finanziamenti e reclute e che altrove le sono ormai preclusi.

Ci troviamo in sostanza in un momento che richiede scelte radicali e la prima da compiere e’ quella tra due dei principi fondamentali di ogni strategia. Dobbiamo cioè decidere se allinearci all’idea , tipica del mondo occidentale , che sia indispensabile adottare quanto prima possibile le proprie decisioni , o seguire invece quella prevalente in ambito orientale secondo cui nulla e’ più importante del saper attendere con pazienza che maturino le condizioni migliori per il successo della linea di azione che si vuole adottare.

Probabilmente nel caso in esame la strategia ottimale consisterebbe nell’applicazione contemporanea di entrambi questi principi , sia  pure in ambiti ed in situazioni differenziate.

In Europa infatti l’azione dell’estremismo sunnita va contrastata subito con adeguata durezza e con ogni mezzo disponibile. Importante , altresì , che le nostre forze di sicurezza recuperino una iniziativa che , come dimostrano i recenti fatti di Colonia , e’ stata sino ad ora lasciata all’avversario. Per  colpire il male alle sue origini  dovremmo infine schierarci con decisione contro l’ISIS ovunque sia chiaro ed incontrovertibile , come lo è  in Iraq ed in Libia , che il nostro intervento risulterebbe diretto contro una galassia terroristica e non contro il mondo sunnita.

Completamente diversi i casi della Siria , dello Yemen e di ogni altro eventuale teatro futuro ove la linea di separazione fra le parti appaia con chiarezza dettata dal diverso orientamento confessionale . In simili circostanze sembrerebbe infatti meglio rinviare ogni iniziativa , ivi comprese  anche quelle diplomatiche  , a quando si delineeranno tempi maggiormente propizi.

Opportuno , in tale quadro , applicare a medesima regola anche ad Arabia Saudita ed Iran che la catena di avvenimenti degli ultimi dieci giorni sembra aver irrigidito su posizioni di dura intransigenza reciproca . Sperando magari in un intervento di paesi islamici più moderati ( la Turchia , l’Egitto ,la Giordania ,  gli stati del Magreb?) che sappia indurre alla ragione i due contendenti .  O addirittura sollecitandolo.

Altrimenti il rischio che il conflitto sciita-sunnita da potenziale e per proxi si faccia attuale ed aperto diventerebbe sempre più forte. Fra  Riad  e Teheran l’escalation ha infatti già’ raggiunto  livelli pericolosi . Ai sauditi , che hanno battuto il tamburo chiamando a raccolta tutti i potenziali alleati della movenza Wahabita dell’Islam , l’Iran ha infatti contrapposto la decisione di proibire  il pellegrinaggio minore ai luoghi santi a tutti i suoi cittadini , un atto di cui l’Occidente non ha probabilmente afferrato la piena importanza.

Vietare l’adempimento di uno dei maggiori obblighi religiosi islamici motivando la decisione col fatto che l’Arabia Saudita non sarebbe in grado di garantire la sicurezza dei pellegrini equivale infatti a segnalare a tutti i credenti l’insufficienza del capo della casa regnante  degli Al Saud che , non dimentichiamolo , non porta in realtà il titolo di re ma solo quello di “custode delle sacre moschee della Mecca e di Medina”. Un custode inadeguato e quindi da rimuovere al più presto . Se necessario anche con la forza , come la dottrina stessa impone di fare con tutti i governanti che si pongano contro la religione o la ostacolino.

Meglio dunque , in questo ambito e con queste prospettive , evitare accuratamente di schierarci , almeno per il momento. Se non altro anche per preservare quella equidistanza che potrebbe eventualmente consentirci , in un futuro auspicabile e possibile ma tutt’altro che certo , permetterci di proporci come mediatori graditi da entrambe le parti.

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