Per l’Italia sogno il grande botto, dal quale ricominciare: meglio che questo lento declino.

Il turpiloquio, del quale Alberto Forchielli fa uso frequente (e sapiente) a ribadire concetti mai banali, dice che gli è rimasto addosso «dagli anni passati tra strade e cortili: vengo da una famiglia benestante, ma in strada ho imparato moltissimo». Il resto, ovvero quanto questo imprenditore partito da Imola con solo il mondo come confine regala alla platea di ALLFORTILES in occasione dell’appuntamento conclusivo della rassegna voluta da Ceramicanda a margine del Cersaie, è quanto ci si aspettava. Ovvero il corollario di una tre giorni di confronto, efficace ma non necessariamente formale e ingessato, con la quale Ceramicanda ribadisce la sua originalità nel fare informazione. Per questo, premessa doverosa, per quanto possiamo scegliamo di riportare integralmente quanto espresso dal fondatore di Mandarin Capital Partner, certi che qualche parolaccia non disturberà quanti, e saranno tanti, dal pensiero di Forchielli potranno trarre spunti di riflessione. In ordine al distretto ceramico, ma non solo, perché il poliedrico imprenditore bolognese, allievo di Prodi e Andreatta, in questa intervista esclusiva ha spaziato ovunque. Partendo dalla sua condizione di «privilegiato: perché lo so e – premette Forchielli – non ho difficoltà ad ammetterlo, quello che mi doveva succedere mi è sempre successo al momento giusto»
I suoi maestri? 
«Mio padre e mio nonno sono state le mie stelle polari, ma anche Romano Prodi e Beniamino Andreatta mi hanno insegnato molto di quello che mi è servito. Il resto l’ho fatto studiando e lavorando, rischiando di mio»
Per chi vota? 
«E’ tanto che non voto, anche perché non sono mai in Italia. E, visto il panorama sconfortante, considero un privilegio anche il non dover votare qui in Italia»
Forchielli è imprenditore famoso per le suei dee e per i sui risultati, ma anche per un linguaggio colorito: pane al pane e vino al vino… 
«Vengo da una famiglia benestante, ma come ho detto sono cresciuto per strada, come tutti quelli della mia generazione. Il linguaggio, diciamo colorito, viene da lì. Quando mi esprimo in inglese sono più politicamente corretto, ma in inglese mi capita ancora di usare ‘soccia’ come intercalare e la cosa, lo ammetto, fa sorridere anche in contesti in cui la forma ha una sua importanza, e parlo di contesti internazionali»
Che Forchielli frequenta abitualmente, e da un sacco di tempo, avendo vissuto pressochè ovunque: siamo in mano, geopoliticamente, a USA, Cina e India: chi vince? 
«Difficile da dire, tempo al tempo. In atto c’è una competizione che vede diversi protagonisti in gioco»
Cominciamo dalla Cina… 
«Un elefante che corre a cento all’ora ma potrebbe inciampare in tre ostacoli: tutela ambientale inesistente, la demografia che li fa più vecchi che ricchi. Quello della tutela ambientale è un aspetto destinato a pesare in futuro, non meno di quanto peserà l’assenza di democrazia in un paese ancorato a principi che noi occidentali non possiamo condividere, e la demografia è un’altra incognita con la quale il governo cinese dovrà fare i conti. Poi c’è la finanza: resto convinto che in Cina ci sia un buco, e che il buco valga il 100% almeno del loro pil. Quando la bolla scoppierà vedremo quali saranno i contraccolpi sul loro sistema economico»
Gli USA, invece ? 
«Funzionano i singoli stati, non l’amministrazione centrale che non ne azzecca una da decenni. Li vedo come una realtà in progressivo disfacimento, anche se quello americano è un sistema che a conti fatti funziona»
L’India? 
«E’ il nostro comtainement rispetto allo strapotere cinese. Cresce a buon ritmo, investe e innova, ha buona demografia, evolve, ma non ha spazi commerciali sui quali espandersi, perché quelli li ha già presi tutti la Cina. Mi piace l’India, vedo che cammina, ma non riesco a capire dove possa andare»
Comanda la Cina, insomma…. 
«Finchè l’elefante corre, è inarrestabile, ed è mercato importante anche per gli italiani. Che se vendono lusso e valore, ai cinesi vendono… Ai cinesi piace comprare il meglio e pensare di aver fatto l’affare: parlo con cognizione di causa…»
I suoi trascorsi in Cina parlano per lei….
«Ci ho passato dodici anni: i primi quattro li ho trascorsi studiandoli, i cinesi, anche in un certo senso affascinato dalla loro capacità di lavoro, gli altri quattro li ho passati a camminare con le spalle al muro per evitare mi inculassero, perché in Cina la filosofia che governa il business è quella. Così, gli ultimi quattro anni li ho invece spesi deciso a far loro il culo a mia volta. E dalla Cina sono venuto via con le tasche piene, e sono uno dei pochi italiani che l’ha lasciata senza troppi rimpianti, ricco e soddisfatto»
A Forchielli la Cina non piaace…
«Non è un sistema che possa piacere, anche perché l’oscurantismo continua a farla da padrone, così come un’ignoranza più diffusa di quanto non si pensi. Dal punto di vista economico esportano prodotti cui è stato un errore aprire le porte. Ed esportano valori che a un occidentale fanno cagare. In Cina non c’è democrazia, ci sono corruzione e violenza: io quando sono venuto via mi sono sentito come uno scappato da un campo di prigionia. Pensavamo internet ne avrebbe aperta la mentalità, loro hanno chiuso le reti e se io, occidentale, abito a Pechino, respiro un’aria di merda e non posso nemmeno lamentarmene con un mio amico italiano su WhatsApp perchè lo hanno chiuso. Come hanno chiuso internet, come controllano l’informazione e anche quanto arriva, a livello di informazione, dall’estero. E non posso nemmeno leggere, per dire, il Corriere della sera online… Non mi piace, la Cina, ma non sono l’unico cui il modello cinese sta sulle palle: non c’è un cinese contento di stare in Cina…»
Forchielli, andando in Cina, ha sbagliato tutto, quindi… 
«Non proprio, nel senso che sono venuto via con le tasche piene. E lo considero un grande risultato, raggiunto tra l’altro lavorando molto…Ma di tornarci non se ne parla, andassero a cagare…»
Parliamo di Italia? 
«Parliamone, ma non c’è granchè da dire, finchè il debito è questo stiamo fermi. E il debito è destinato ad aumentare…»
È una zavorra che non ci si riesce a togliere di dosso, il debito…
«Non vedo come: il problema delle pensioni non è risolvibile, la spesa pubblica è mal governata, le tasse non ti permettono di combinare nulla: paghi e non hai in cambio niente. Io, quando mi chiedono dell’Italia, mi definisco un bottista: nel senso che per l’Italia sogno il grande botto, quello in grado di farci ricominciare come ricominciarono i nostri nonni e i nostri padri. Io ho due figli che stanno facendo il loro, vivono e lavorano all’estero, all’estero hanno studiato e all’estero si sono formati. Si stanno costruendo un futuro e non mi hanno mai chiesto un soldo: lavorassero in Italia prenderebbero 1000 euro al mese e non avrebbero nessuna prospettiva, come del resto non hanno prospettiva i giovani che scelgono di restare qui»
Il suo invito ai giovani a scegliere l’estero fece discutere… 
«Non mi interessa, e sono convinto di avere ragione io. Ai giovani dico di andare e di farsi valere altrove, dove sono apprezzati merito e competenza: poi magari torneranno, ma solo dopo il grande botto, quando sarà ora di ricominciare…»
Fosse Presidente del Consiglio cosa farebbe Forchielli? Le prime due cose che le vengono in mente… 
«Nulla, perché il Presidente del Consiglio non lo voglio fare: ho visto Prodi… Alle 9 la Croce Rossa, alle 10 il sindaco, per dire, di Catanzaro, alle 11 i sindacati e alle 12 gli industriali, poi nel pomeriggio un convegno e in serata una cena di gala con qualche ambasciatore. E dopo cena ti tocca anche incontrare una delegazione peruviana, magari… questi uomini vanno fatti santi, non presidenti, e il quotidiano non li aiuta a fare quanto vorrebbero. E poi, come succede con Prodi, magari ti impegni per il paese, ti spendi e qualcosa sistemi e poi, anche se hai fatto bene arrivano Bertinotti e D’Alema e ti fottono, perché i comunisti sono così, non sopportano ci sia qualcuno che fa meglio di loro»
Uscirebbe dall’euro? 
«Non scherziamo: senza euro saremmo già saltati da un pezzo»
Prodi o Berlusconi? 
«Il primo ha lavorato sul paese, per il bene dell’Italia, e lo ha fottuto una sinistra che spero scompaia con le prossime elezioni, invidiosa, incapace e divisiva com’è. Il secondo si è fatto i cazzi suoi, salvando le sue aziende e se stesso dalla galera, ma diventa difficile dire che abbia lavorato per il paese…»
Ma Forchielli premier cosa fa- rebbe?
«Giusto un paio di cose sulla sicurezza, per il resto non ci sono soldi e l’Italia di oggi è piegata su se stessa, sulle sue paure e sulle sue prospettive pressochè nulle. Il paese rincorre il turismo che è un business da ‘cazzetti’ che non fa numeri e non produce ricchezza vera, non ha classe dirigente che gli dia gli impulsi e le idee che servono, né giovani in grado di portarla fuori da queste secche. Costruisce per nessuno, consuma poco, investe ancora meno: chi può pensare di scommettere su questo paese, oggi?»
Verrebbe da dire nessuno: cosa manca?
«Mancano gli uomini che hanno fatto grande l’Italia. Quelli come mio nonno che ha fatto la Grande Guerra, che correva contro gli austriaci all’arma bianca dietro il suo graduato sapendo che andava a fare la cosa giusta. O mio padre, ferito e riferito in guerra, protagonista della ritirata di Russia, sopravvissuto ad una marcia nella neve tra stenti e scarpe di cartone. Poi avvocato e magistrato, rigoroso e attento, chino sulle carte fino a notte ma attento anche a quanto gli succedeva intorno. Quella era gente: i quarantenni di oggi sono mezze seghe che si giovano, si fa per dire, di un paese che ha il 50% di analfabeti funzionali ed è penalizzato, oltre che da una classe dirigente mediocre, da un’immigrazione che non giova allo sviluppo…»
Forchielli ha scritto che bombarderebbe la Libia per non far partire i barconi…
«Lo ribadisco. Abbiamo fatto di peggio, a livello di bombarda- menti, ma era un paradosso per dire che questa immigrazione non ci serve, e che i barconi andrebbero messi in condizione di non salpare. Aldilà dell’etica, nessuno si chiede quanto costa, e se ce la possiamo permettere, questa on- data di diseredati ai quali serviranno vent’anni per integrarsi. Arriva gente che non sa fare due più due: gente che riempie le scuole, gli ospedali, intasa i servizi, alza il livello dello scontro sociale. I tedeschi, non a caso, hanno frenato: prima li hanno accolti, perché era immigrazione ‘buona’, dicevano, poi si sono accorti che non erano né tutti siriani né tutti laureati e hanno frenato…»
Un paese a pezzi, insomma: di chi è la colpa?
«Non ce n’è una sola e non vale la pena cercarla. Sono fattori negativi che si aggiungono ad altri fattori negativi, né si vede nulla, osservando l’Italia, che possa invertire la tendenza…»
Lei dice male della Cina ma ci abita, dice male dell’Italia ma col suo fondo Mandarin ci in- veste, in Italia, e investe sulle ceramiche, portandoci i cinesi in casa… 
«Io abito a Bangkok, che non è in Cina, e i cinesi nel mio fondo valgono un 10% che non ha voce in capitolo se si tratta di decidere…»
A Sassuolo dicono altro… 
«Si informino… se un cinese vuol comprare una ceramica non ha certo bisogno di Alberto Forchielli. Hanno comprato il debito di metà mondo, stanno colonizzando l’Africa, e in Italia hanno già la Pirelli, l’Inter e il Milan, né mi risulta le aziende del distretto ceramico producano testate balistiche nucleari ad alta tecnologia, ma solo piastrelle… A volerle comprare, insomma, si comprano»
Ma questi manager cinesi che occhieggiano alle aziende ceramiche?
«Minchiefritte… non sanno un cazzo, ma hanno soldi a palate, quindi si tratta di fissare un prezzo alto e poi fare lo sconto: tu che vendi, guadagni, loro sono con- vinti di avere fatto l’affare e si è contenti in due»
Spolpano e reinvestono, si dice, e si dice lo faccia anche lei con il suo fondo, come del resto fanno tutti i fondi, secondo una visione abbastanza diffusa… 
«Io non sono uomo di fondi, tanto è vero che il mio fondo l’ho aperto a 50 anni suonati, dopo avere fatto altro. Io lavoro per migliorare e consolidare, per garantire il giusto ritorno a chi affida le proprie risorse alle mie intuizioni. Ho investitori cui devo rendere conto, ho l’obbligo, nei confronti dei miei clienti, di guadagnare facendo fruttare quanto investo per loro. Vale per tutto il business che facciamo, non solo per la ceramica»
Ma Forchielli ha ceramiche in casa? 
«Boh: io di ceramica non so un cazzo, e sinceramente non ho mai fatto nemmeno troppo caso se nelle mie case ce l’ho. Forse nei bagni, forse in cucina, non saprei dirlo con certezza. Ma sulle ceramiche ho un signore che mi aiuta in questo business: lui (il riferimento è a Graziano Verdi) fa gli affari e io sono la sua caricatura…»
Ha già preso La Fabbrica ed Elios, c’è un’opzione su Tagina… 
«Lavoriamo per la creazione di un polo del lusso della ceramica, è cosa nota… Con Tagina vediamo: per sposarsi bisogna essere in due, come noto…»
Comprate aziende non granchè, si dice a Sassuolo…
«Il segreto di fare affari è comprare a poco e rivendere a molto. Il piano cui lavoriamo è più interessante di quanto non si dica dalle vostre parti. La Fabbrica è esplosa, dopo la nostra entrata, e abbiamo grandi aspettative cui daremo corso investendo. Siamo su Tagina, come su altre realtà: se non sarà Tagina guarderemo altrove… Il progetto c’è, e soldi ne abbiamo, ma non ci piace buttarli.
E in canna abbiamo un gran colpo, che non vi dico…»
Se ce lo dicesse, faremmo uno scoop…. 
«Tutti così, voi giornalisti: basta promettervi la notizia e andate fuori di testa. Ma ci sono cose che vanno rese pubbliche a tempo debito…»
Allora niente: peccato, però… Piccolo funziona ancora?

«Può funzionare, ma non nel mercato globale: nel senso che se devi andare a vendere in Indonesia, per dire, se non sei dimensionato nel modo giusto hai un problema»
Per questo con la ceramica guardate anche agli USA? 
«Anche per quello, ma non solo per quello. Il mondo, oggi, corre veloce, e per stare nel mondo devi avere i mezzi»
E se Trump mette i dazi, o si mette più in generale di traverso? 
«Non li metterà: deprimerebbe troppo l’economia americana. Romperà un po’i coglioni ai cinesi e ai messicani, rivedrà qualche trattato a rivendicare l’americanità degli americani, ma poi si fermerà lì…E per gli USA il nostro fondo, guardando alla ceramica, ha progetti importanti, che negli States si possono realizzare anche se la ceramica, per gli americani, è una frontiera ancora tutta da esplora- re…Ma ci sono cose da comprare anche là, come ovunque, e i miei investitori di soldi ne hanno…»
Io ho una barca a vela da vendere… 
«I miei investitori vogliono un ritorno, quindi la ceramica ok, perché lo può garantire, ma la barca no…»
Quoterete il polo del lusso ceramico in borsa…
«L’obiettivo è quello, e non è detto la Borsa sia Milano, che funziona male mi sta anche un po’ sul cazzo… Ci sono altre borse, e il mondo è grande»
E se io avessi, diciamo 30mila euro da investire?
«Comprati un Rolex, ciccio, e al resto non pensare…»
Intervista di Roberto Caroli, pubblicata su DStretto, estratta dal convegno di chiusura di ALLFORTILES.
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