Missione Italiana in Niger

È raro che una sola mossa di politica militare consenta di conseguire più risultati nel medesimo tempo, e per di più tanto all’estero quanto all’interno del nostro paese. La decisione di autorizzare una missione addestrativa delle nostre truppe in Niger, concordata dal Governo con alcuni dei più importanti fra i nostri alleati ed autorizzata dal Parlamento Italiano in una delle recenti sedute di fine legislatura rientra comunque in pieno in questa categoria. La missione infatti risulterà certamente gradita agli Stati Uniti che soffrono di un forte deficit di presenza delle loro forze in Africa e  comunque sono già impegnati in Niger ove le loro truppe speciali cooperano con gli analoghi reparti francesi. Gradita essa dovrebbe risultare poi anche alla Unione Europea, soprattutto alla sua responsabile per la Politica Estera, Federica Mogherini, che  sollecita da tempo un maggiore impegno degli Stati membri nella proiezione della sicurezza.  Come cosa gradita,  infine, essa dovrebbe prospettarsi anche ai nostri due maggiori partner in ambito UE, vale a dire Francia e Germania.  Sono infatti almeno sei anni che Parigi insiste con noi per un nostro maggiore impegno su teatri che consentano ai francesi di alleggerire  l’onere che essi stanno sostenendo in quella che un tempo era chiamata “l’Africa francofona”. Recuperando in tal modo soldati da destinare in Francia alle accresciute esigenze di sicurezza interna di un paese che si è rivelato il bersaglio europeo preferito del terrorismo islamico. Per i francesi poi fra tutti i paesi africani il Niger riveste un valore del tutto particolare in quanto è dalle sue miniere che si estrae l’uranio indispensabile per le centrali nucleari dell’Esagono e per la sua “force de frappe”. Quanto alla Germania la presenza degli italiani che affiancheranno il contingente tedesco nella medesima missione significa non soltanto avere un compito condiviso, e quindi meno oneroso e più agevole, ma per di più condiviso con militari che al prezzo di sudore e sangue si sono guadagnati negli ultimi trenta anni la fama di essere tra i migliori del mondo nel peacekeeping e nella gestione delle crisi. In termini di politica estera nazionale si tratta quindi di una mossa che ci avvicina a quei due grandi partners europei cui noi cerchiamo di rimanere agganciati, soprattutto in un periodo come questo che sembra essere la vigilia di una radicale ridefinizione di ruoli e gerarchie in ambito UE. Essa si inserisce inoltre in quel quadro di rinnovato attivismo africano che ha caratterizzato almeno da un paio di anni a questa parte il nostro atteggiamento nei riguardi del fenomeno dei migranti. Nell’impossibilità di fermarne il flusso alle nostre frontiere o di respingerli ai paesi di origine, resa più difficile da gestire dal corale e pressoché totale  rifiuto da parte del resto dell’Europa di condividere una ondata che l’Italia stenta ad affrontare da sola, l’unica soluzione possibile è apparsa così quella di cercare di disciplinare  il fenomeno all’origine o nei nodi di transito , come e’ appunto il Niger. Ciò richiederà nei prossimi anni da parte delle nostre Forze Armate un impegno in area sahelica e nel Golfo di Guinea ben più forte di quello del passato. Non inganni infatti il modo in cui in questo momento sui mass media si sta parlando soltanto di Niger. In realtà il medesimo decreto che decideva in merito fissava anche la partecipazione italiana con 60 militari ad un centro di “fusione dell’intelligence” in Tunisia che avrà soprattutto compiti addestrativi nel settore e che nasce sotto egida Nato. La misssione principale che svolgeremo in Niger sarà anche essa addestrativa, ma appare poi destinata a coinvolgere non soltanto militari locali ma anche soldati del gruppo del G5, vale a dire degli altri paesi dell’area (Mauritania, Burkina Fas, Mali, Ciad ed appunto Niger) che hanno deciso di combattere insieme il terrorismo fondamentalista in tutte le sue ramificazioni. Per poter agire in Niger dovremo inoltre dislocare gruppi logistici in alcuni porti del Golfo di Guinea, il che significa accordi e coinvolgimento con altri paesi. Nel frattempo stiamo inviando piccole missioni od elementi isolati in Mauritania, nella Repubblica Centro Africana ed in Marocco, in quest’ultimo caso nell’ambito di MINURSO, la missione ONU per un referendum concordato – ma che mai verrà indetto! – nell’area saharoui. In Libia nel contempo prevediamo di rinforzare le due grandi missioni italiane che già vi operano, vale a dire l’Ospedale Militare schierato a Misurata e i reparti della Guardia Costiera che addestrano l’omologa specialità libica. Se poi consideriamo come da tempo nostro personale operi anche in Somalia, con le Nazioni Unite, a Gibuti, ove abbiamo una base, ed in Egitto, nel quadro di quella MFO che sorveglia l’adempienza dei firmatari agli accordi di Camp David, il quadro allora diviene veramente completo e non c’è da stupirsi di come gli stanziamenti da destinare quest’anno al finanziamento delle missioni superino nettamente quelli dell’anno scorso. In compenso, comunque, la crescita della nostra presenza in Africa si affiancherà ad una riduzione del nostro impegno in altre e più lontane parti del mondo. Prevediamo così di ridurre parte del nostro contributo alla Operazione NATO Resolute Support in svolgimento in Afghanistan, anche se ci rendiamo conto di come il ridimensionamento dovrà essere concordato con i partners della Alleanza e dovrà superare una decisa opposizione , specie americana. Ritireremo inoltre, in considerazione delle mutate condizioni locali, anche parte delle missioni che avevamo in Iraq, attingendo soprattutto a quelle per la protezione della diga di Mossul ed ai reparti che addestrano i peshmerga curdi ad Erbil. Disimpegni nel loro complesso quanto mai opportuni considerate le nuove nubi che si stanno addensando e sull’Afghanistan e sul sogno curdo di poter finalmente disporre di un focolare nazionale indipendente. D’altro canto poi la nostra decisione appare perfettamente in linea con quanto sancito alcuni anni fa dal nostro “Libro bianco per la difesa” che prendeva atto del nostro rango di media potenza, interessata quindi soltanto a scacchieri regionali a noi abbastanza vicini e non a quanto accade in lontanissime e sperdute aree del mondo. In sostanza quindi la nostra parziale presa in carico di responsabilità africane ridimensiona e ristruttura, geograficamente anche se non come entità, il nostro impegno complessivo.  Dovremo comunque prestare notevole attenzione a non farci trascinare dalla Francia, molto più disinvolta di noi nel decidere l’uso della forza militare e con un atteggiamento verso i paesi d’Africa che rischia a volte  di scivolare nel neo colonialismo, in avventure che vadano oltre gli scopi che noi ci ripromettiamo di conseguire. La presenza della Germania al nostro fianco dovrebbe in ogni caso rivelarsi come un decisivo aiuto in tal senso. Appare parimenti destinato a risultare di aiuto ed a costituire un freno per qualsiasi tentazione il fatto che noi italiani, che ospitiamo il Vaticano sul nostro territorio, siamo in rapporti unici con una Chiesa Cattolica che finisce sempre col poter dire la propria parola in ogni nostra decisione di politica estera ed ha chiaramente dimostrato nel corso degli anni più recenti di considerare i migranti come uno dei suoi problemi principali in questa epoca di grandi cambiamenti.
Già pubblicato su Limes On Line

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