Le due anime del Montenegro

Dove il carro della storia e’ passato incessantemente nel corso dei secoli , lasciando ogni volta una traccia sanguinosa , nessun paese ha mai una anima soltanto , ed il Montenegro conferma appieno questa regola.

Stretto fra il mare e la montagna , aperto da un lato alla influenza europea ma dall’altro profondamente balcanico  , con una storia ed una geografia che lo inclinano verso l’Italia  – cui ha anche dato una delle sue Regine – ma allo stesso tempo slavo ed ortodosso e dunque strettamente imparentato con la Serbia, dotato di una economia che dipende in pari misura dalle esportazioni verso la Ue ma anche dagli investimenti per buona parte turistici  della Russia neo zarista di Putin che lo considera “il suo giardino sull’Adriatico” , il paese si e’ trovato a dover compiere negli ultimi venti anni almeno due scelte di campo particolarmente difficili.

La prima si e’ concretizzata nell’abbandono di una Serbia definitivamente sconfitta nel suo tentativo di preservare quanto più possibile della Federazione Jugoslava di un tempo e nell’accesso , nel 2006 , ad una indipendenza che era stata persa sin dal lontano 1919 .

Vi e’ da sottolineare comunque come dopo averli combattuti ferocemente dal 1919 al 1924 , i montenegrini fossero poi rimasti con i cugini serbi sino all’ultimo , battendosi al loro fianco per tutto il lungo decennio di guerre che avevano condotto allo scioglimento della Federazione ed all’accesso all’indipendenza , in rapida successione , di Slovenia ,  Croazia , Bosnia Erzegovina e Kossovo .

Dal 2006 in poi per Podgoriza l’indipendenza si era concretizzata anche come una prima scelta di campo che avrebbe dovuto portarla , a tempo debito , a poter fruire di tutti i vantaggi derivanti da un lato dall’ingresso nella Unione Europea  e dall’altro dalla adesione a quella Alleanza Atlantica di cui il paese , reduce da sette anni di duro conflitto , conosceva già’ bene la forza.

Il Montenegro , e questa era stata la seconda scelta decisiva , aveva quindi espresso quasi subito il proprio desiderio di divenire membro della NATO , innescando una procedura di valutazione destinata a durare alcuni anni ed a procedere di gradino in gradino soltanto dopo il soddisfacimento di ben precise condizioni e la verifica dell’acquisizione di particolari requisiti. Per agevolare il processo , il paese aveva anche inviato un piccolo contingente delle proprie forze militari – numericamente limitato ,ma il gesto rimaneva significativo dal punto di vista politico – a raggiungere le forze della Alleanza schierate in Afghanistan.

Nell’attesa che la UE le portasse il benessere e la NATO la sicurezza , Podgoriza non aveva pero’ del tutto abbandonato la vecchia amicizia con i cugini russi , ben lieti da parte loro di mantenere vivo l’antico legame per cui Mosca , nell’adempimento del suo ruolo di seconda Bisanzio e terza Roma , era da sempre la grande protettrice di tutti gli slavi e di tutti gli ortodossi ovunque essi vivessero , ed in particolare di quelli dei Balcani. Col tempo si era così creata una strana situazione di equilibrio e di apparente stallo , in cui il Montenegro finiva con l’essere considerato quasi come un “non allineato ” , al punto tale che la Russia contribuiva alla sua economia con più del 30% degli investimenti esteri nel paese.

Il comunicato finale della riunione ministeriale NATO del due dicembre , con cui i Ministri degli Esteri dei 28 paesi membri prendono atto dei grandi progressi compiuti dal Montenegro dopo l’indipendenza e lo invitano di conseguenza ad iniziare i colloqui per l’ingresso nell’Alleanza , ha pero’ rimescolato le carte sul tavolo come un vero e proprio  “coup de teatre”,  rimettendo in discussione tutto ciò che era stato considerato come definitivamente acquisito sino a quel momento.  L’entrata del paese in tempi ristretti nell’Alleanza Atlantica come ventinovesimo membro ( la scadenza prevista e’ nel 2017) diveniva a questo punto cosa certa , mentre la scelta occidentale effettuata dal Montenegro si affermava come definitiva ed irreversibile.

La Russia reagiva quindi con immediata violenza verbale all’accaduto , deplorando l’aggressività’ di una NATO che accusava di disinvoltura eccessiva nel gestire un processo di allargamento apparentemente destinato a non avere mai fine e chenon teneva assolutamente conto delle esigenze dei vicini .

Minacciava inoltre di colpire economicamente il piccolo stato balcanico  interrompendo tutti gli accordi di cooperazione bilaterale esistenti. Una minaccia di valore unicamente simbolico , considerato come ritorsioni economiche di questo tipo finiscano sempre nel tempo col danneggiare non soltanto una delle parti ma entrambe le parti in causa.

Ci sono a questo punto almeno due domande da porsi , chiedendoci in primo luogo se la Russia abbia o meno ragione nel considerare l’inattesa decisione dell’Alleanza come una mirata provocazione. O perlomeno quale un chiaro messaggio destinato a sottolineare , a suo ed altrui beneficio, alcuni punti che i membri della NATO ritengono particolarmente importanti.

Se si esaminano a fondo i documenti conclusivi della ministeriale ci si accorge in effetti  di come essi sottolineino inizialmente due punti che l’Alleanza ritiene talmente importanti da risultare irrinunciabili , ma che sono nel contempo fra quelli che hanno finito col guastare i suoi rapporti con Mosca. Il primo si concretizza nella “Politica delle porte aperte ” , per cui la NATO si riserva il diritto di ricevere fra  i propri membri qualsiasi stato risponda ai previsti requisiti e ne  avanzi richiesta. Il secondo ribadisce il diritto della Alleanza di decidere in merito alla eventuale ammissione da sola , e senza tenere in alcun conto pressioni ed influenze esterne.

In piena coerenza con questo preambolo , e dopo avere invitato il Montenegro a divenire membro , i 28 Ministri continuano comunicando a Bosnia Erzegovina e Macedonia come la valutazione della loro idoneità a presentare domanda di ammissione stia regolarmente continuando il proprio iter . Concludono poi , con un altro importante messaggio per Mosca , rassicurando la Georgia e l’Ucraina sul fatto che la loro aspirazione alla  membership non è stata dimenticata e non lo sarà nel futuro.

Una serie ben chiara di messaggi , dunque, e che tanto esplicita da rendere indispensabile porsi il secondo dei quesiti , vale a dire quello relativo alla scelta di questo preciso momento per riaffermare punti che già si sapevano non graditi alla controparte.

Qui le risposte possibili appaiono molteplici , configurando una situazione in cui parecchi elementi possono aver contribuito a delineare un processo di causa effetto.

C’e’ infatti da considerare come in primo luogo possa aver influito sulle decisioni la forza di inerzia con cui la NATO , organizzazione elefantiaca e ormai troppo burocratizzata , e’ abituata a procedere sulla propria strada quasi senza guardarsi intorno . In questa ottica se il processo di valutazione del Montenegro era in effetti giunto al termine con esiti positivi diveniva inevitabile per l’Alleanza rendere la cosa pubblica e procedere per la strada prevista.

Sul ragionamento di carattere tecnico si sono pero’ senza dubbio innestate considerazioni di carattere politico . Una presa di posizione tanto chiara e così dura  era infatti quanto occorreva per rassicurare non soltanto i paesi in lista di attesa ma anche la pleiade di nuovi membri NATO dell’Europa centrale ed orientale spaventati dall’idea che i colloqui in corso a Vienna e la palese necessita’ di disporre anche della Russia per qualsiasi soluzione medio orientale potessero indurre a concessioni in altri settori da parte della Alleanza o di alcuni fra i suoi maggiori azionisti

Si aggiunga poi a questo la necessita’ del Presidente USA Obama , più volte accusato di debolezza ed indecisione , di mostrarsi duro con coloro che l’America si ostina a considerare ancora come nemici nonostante molte cose siano radicalmente cambiate dalla conclusione della guerra fredda. Si tratta oltretutto di una necessita’  che l’avanzare del processo elettorale americano ha reso decisamente impellente.

Da considerare infine anche come l’Alleanza ritenga di aver ritrovato nel rinnovato contenimento della Russia una inedita ed adeguata missione,  capace di far dimenticare gli anni del declino e di sopire i dubbi esistenziali che iniziavano a prosperare nel suo interno.

A questo punto ci resta solo da chiederci se l’episodio sia destinato a chiudersi rapidamente o se rischi invece di avere seguiti e conseguenze realmente gravi .

Qui , almeno per il momento , un giudizio ottimistico sembra decisamente destinato ad imporsi. Il Montenegro e’ infatti soltanto un piccolo pedone in un gioco di scacchi di portata ben più ampia. Per di più le sue scelte erano già note da tempo e quindi non costituiscono certamente un dato nuovo che possa sconvolgere l’andamento del gioco. Inoltre le misure di ritorsione possibili danneggerebbero probabilmente più la Russia che il piccolo paese balcanico.

Mosca non andrà quindi oltre la “gesticolazione verbale” già in atto. A noi resterà invece da riflettere sulla complessità di un mondo e di una epoca che ci vedono nemici di uno degli altri protagonisti su uno scacchiere solo per imporcelo subito dopo in un altro scacchiere come l’alleato indispensabile.

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