Io sto con Stacchio

Potrebbe essere una scena alla “Fargo” – la mini-serie tv ispirata all’omonimo film dei fratelli Coen – se non fossimo nel basso vicentino e se il giorno dopo non ci fosse la solita Italia social-mediatica divisa nelle due fazioni #iostoconlui e #iono. Spesso un titolo qualsiasi di un notiziario spiega già tutto. “Assalto in gioielleria fallito, i malviventi sparano. Un benzinaio vicino risponde al fuoco e muore un rapinatore”. Siamo a Ponte di Nato ma è più probabile che abbiate in mente i paesaggi cinematografici che ho nominato in apertura. Eccola lì la strada a separare la stazione di servizio di Graziano Stacchio e la gioielleria Zancan con la commessa Genny, già rapinata nel marzo del 2013 da quattro banditi con kalashnikov, pistole e giubbotti antiproiettile. Insomma, il Veneto uguale al Dakota del Nord.

Sono le sei e un quarto del pomeriggio di martedì scorso e non è un déjà vu. Una Renault Laguna station wagon blu, rubata a Padova poco meno di un mese prima, si ferma vicino alla gioielleria. Scendono in cinque. Hanno tutti i passamontagna e sono armati: kalashnikov e pistole. Uno resta a fare il palo, gli altri tentano di entrare. Ma come nella fiction, la sceneggiatura del destino prevede un imprevisto e il primo che prova a entrare rimane incastrato nella porta a bussola. È il destino, attraverso la decisione di Genny, che capisce cosa sta per succedere e chiude l’ingresso. Lui è bloccato e inizia a urlare. I complici spaccano il vetro a mazzate e picconate e lo liberano. Nel frattempo l’inquadratura attraversa la strada e diventa lo sguardo di Graziano Stacchio, il benzinaio, che ha visto tutto. Come la gente terrorizzata nelle vicinanze.

Graziano Stacchio ha 65 anni, per passione va a caccia e a casa sua, sopra al distributore, ha un fucile. E come in un film quando l’inquadratura va sul fucile appeso al muro, sappiamo per certo che prima della fine quel fucile ritornerà sulla scena e magari farà fuoco. Nella fiction si chiama metonimia. Nella vita è causalità. 

Le forze dell’ordine non arrivano. La gente per strada che non scappa, guarda senza far nulla, come è normale che sia, perché, come diceva Bertolt Brecht, è “sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Così Graziano Stacchio va a prendere il fucile e spara in alto. Come in un western crepuscolare i colpi si conficcano nel terrazzino di una abitazione. Come in un western crepuscolare o in “Fargo” uno dei cinque banditi si gira e risponde al fuoco. Inquadra il benzinaio armato e avvicinandosi punta l’arma verso Graziano Stacchio che di riflesso mira verso il basso e spara ancora, colpendolo alla coscia. Come in un western crepuscolare o in “Fargo” o nella realtà di un giorno qualunque nella provincia italiana il rapinatore ferito è forse lo stesso che era rimasto incastrato nella porta. Sappiamo di sicuro che è proprio lui a mettersi alla guida della Laguna e si allontana insieme ai complici. Sappiamo anche che i banditi si coprono le spalle sparando ancora perché sono stati rinvenuti diversi bossoli nella station wagon che percorre duecento metri a tutta velocità verso sud per poi schiantarsi contro un semaforo e finire la fuga all’inizio di un ponte. In quattro scendono e raggiungono l’Audi A8 parcheggiata dall’altra parte del ponte e scappano verso Padova.

Intanto arrivano i carabinieri e lo trovano al posto di guida, in una pozza di sangue, con il passamontagna ancora indossato e senza documenti. È morto dissanguato perché è stato colpito all’arteria femorale. Viene identificato il giorno dopo. Si tratta di Albano Cassol, un giostraio con precedenti per rapina, nato a Vicenza 41 anni fa e residente in una roulotte nel campo nomadi di Fontanelle, nel trevigiano, con la moglie incinta e due figli di 7 e 4 anni. Nelle stesse ore il magistrato iscrive Graziano Stacchio nel registro degli indagati per i colpi di fucile esplosi contro i banditi, nell’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa.

“Non sono un eroe né un giustiziere – dice Graziano Stacchio ai giornalisti – ho agito d’istinto pensando alla povera commessa sola, che potrebbe essere mia figlia, che già due anni fa aveva subito una rapina. Prima ho urlato, poi sono salito in casa a prendere il fucile, ho sparato in aria e quando uno di loro è venuto verso di me con il mitra in mano ho mirato alle gambe per difendermi. Non volevo certo uccidere”.

Alzo la testa dall’articolo. E sussurro: “Io un gesto così lo riuscirei a fare soltanto per i miei cari, non credo che avrei il coraggio di rischiare la vita per la commessa di una gioielleria, anche se in quell’istante ci rivedo mia figlia. Non lo so… Ti ci devi trovare in mezzo per vedere che reazione hai…”

Prendo il telefono e chiamo Forchielli.

Alberto, tu stai con Stacchio o no? “Eh? Chi è Stacchio?” 

Gli racconto tutta la storia. Allora? “Nooo… Michele, ma me lo chiedi? Mattarella a Stacchio deve dargli subito una Medaglia d’oro al valor civile e farlo anche Cavaliere del lavoro. Come cittadini italiani dovremmo essergli tutti grati. Ma ci pensi a quella poveretta barricata dentro la gioielleria?”

Il coraggio di intervenire è pazzesco… “Lo adoro. Vaffanculo a tutti quei pezzi di merda che non stanno con lui. Alle prossime elezioni lo voto. Anzi, voto quello che vota Stacchio.”

Stai urlando… “Sì, sì, mi sono infervorato. Graziano Stacchio fatti vivo che ti faccio un regalo.”

Il magistrato lo ha iscritto nel registro degli indagati per eccesso colposo di legittima difesa… “Stacchio, per favore, chiamami che ti pago io l’avvocato. In Italia siamo talmente messi male che dobbiamo anche rendere sicura una rapina per i banditi e garantirgli l’incolumità. Probabilmente ci sarà anche un sindacato dei criminali che avrà protestato e indetto uno sciopero. Sono proprio carico. Giù le mani da Stacchio.”

Ne abbiamo parlato ancora, con onestà intellettuale, senza retorica. Graziano Stacchio dice di non essere un eroe né tantomeno un giustiziere. Certamente non è un fanatico. Non è un militare professionista né un mercenario in zona di guerra. È un lavoratore, quasi pronto per andare in pensione, che va a caccia per passione e sa sparare. È un cittadino italiano. Poteva stare a guardare, come tutti gli altri. Magari Genny se la sarebbe cavata con qualche giorno d’ospedale, come è capitato alle due commesse di una gioielleria rapinata l’estate scorsa a Riccione. È facile parlare con il culo al caldo e dire la propria sui social o sulle pagine di un giornale. Bisogna immedesimarsi. Bisogna entrare nella sua testa e vedere quello che vede lui e quello che vedono gli altri cittadini in quella scena da Far West per comprendere il suo coraggio. Bisogna sentire il battito del suo cuore mentre decide di agire. Dall’altra parte della strada ci sono cinque uomini armati e incazzati come pantere con una giovane donna che è riuscita a non farli entrare. E c’è un confine invisibile ma allo stesso tempo abissale che lui, consapevolmente, decide di oltrepassare. È il confine che separa lo spettatore dal protagonista. Prima Graziano Stacchio era invisibile, poi gli sparano addosso. Spettatore e protagonista. Perché lo ha fatto? Per Genny? Per un estremo senso civico? Chissà. Sta di fatto che oggi, dopo il suo gesto, l’Italia è un posto peggiore, perché è dannatamente vero che è “sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Ma Graziano Stacchio dobbiamo contraddirti. È questo che sei. Un eroe.

Forchielli intervistato da Michele Mengoli per Oblòg (9 Febbraio 2015)

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