Il surplus commerciale dei poveretti (II parte). Record dell’avanzo della bilancia commerciale italiana, non perché è esploso l’export ma perché è imploso il consumo interno.

 
Riprendo dall’FdS di martedì scorso a commento dell’analisi Istat – su dati 2016 – in merito all’avanzo della bilancia commerciale italiana che ha raggiunto 51,6 miliardi di euro, cifra record dal 1991, anno di inizio di tale valutazione da parte dell’istituto nazionale di statistica. Per una eccedenza commerciale originata dalla compressione dell’importazione rispetto all’espansione dell’export. E in soldoni, perciò, lo avevo definito il surplus dei poveri.
Per una problematica che sta a monte. Quindi, parliamoci chiaro.
Il migliaio di aziende di ottimo livello – dalla Ima alla Ferrari, da Armani a Prada, eccetera – che sono rimaste nel nord Italia – soprattutto sull’asse Milano, Torino, Bologna e Venezia-Padova – e che spesso sono a conduzione familiare, devono competere con quelle tedesche in una battaglia sleale, tanto le nostre sono penalizzate da tasse più elevate, rigide leggi del lavoro, burocrazia soffocante, infrastrutture da terzo mondo e scarso sostegno all’export, senza dimenticare i sacrifici importanti dei nostri lavoratori che sono molto meno pagati dei colleghi tedeschi.
D’altro canto la Germania, negli ultimi anni, ha sempre raggiunto un surplus commerciale attraverso la superiorità della sua produzione industriale in termini di valore/affidabilità/servizio/qualità.
Addirittura odiano l’euro debole perché rende più facile il loro export e non li costringe a investire per innovare. E perché sono consapevoli che la riduzione del rapporto tra investimento nell’innovazione e Pil alla lunga fa male.
Invece, sempre in ambito europeo, è giusto elogiare il grande lavoro fatto dalla Spagna nel turismo, per un comparto che ha decisamente superato quello italiano, anche grazie al segmento molto redditizio dell’“acchiappo” di pensionati tedeschi, britannici e del nord Europa. Per un compito che non era per niente facile, visto che per riuscire a diventare la Florida del Mediterraneo serviva un eccellente coordinamento tra pubblico e privato (basti pensare all’assistenza sanitaria). Inoltre il loro settore agricolo è molto competitivo e hanno due gruppi bancari al top come Banco Santander e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA). E la Spagna, rispetto a noi, ha meno criminalità, meno corruzione, meno debito pubblico, servizi migliori, governo migliore, minori imposte e sicuramente un Pil pro capite reale superiore a quello italiano.
In conclusione, più che il surplus della bilancia commerciale, è un buon governo e una buona educazione socio-economica che fanno la differenza. Gli esempi sono evidenti: Singapore, Svizzera, Danimarca, Svezia, Finlandia, Germania, Austria, Paesi Bassi. Sono tutti Paesi con poche risorse ma con formidabili standard di vita. Il merito? Governi onesti, attenzione a istruzione e infrastrutture e capacità di pianificare a lungo termine. Ecco quali sono le chiavi per non fare la fine dell’Italia.
 
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