Cosa (non) cambia con l’accordo commerciale cinese

L’accordo di libero scambio fra Cina e Paesi del Pacifico non sfiorerà gli Usa, avvisa l’economista Alberto Forchielli. Joe Biden sarà anche più scettico su queste intese commerciali rispetto a Trump, “la sua base elettorale le odia”. A Taiwan si gioca la partita finale per il 5G

 

I numeri non mentono: il Rcet (Regional Comprehensive Economic Partnership), l’accordo commerciale stipulato dalla Cina con altre 14 economie dell’Asia-Pacifico, è il più grande patto di libero scambio del pianeta. Secondo le stime iniziali il valore dell’intesa, che include le 10 economie dell’Asean (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico) insieme a Cina, Corea del Sud, Giappone, Nuova Zelanda e Australia, rappresenterà circa il 30% del Pil mondiale, raggiungendo 2,2 miliardi di consumatori.

È il secondo grande accordo commerciale della regione che vede esclusi gli Stati Uniti, dopo che nel 2018 undici Stati nel Pacifico hanno riscritto e siglato il Tpp (Trans pacific-partnerhsip) abbandonato dall’amministrazione Trump. Un incasso non solo economico per Pechino, che si ritrova regista di un asse trasversale con diversi Paesi non allineati, come il Giappone, o addirittura apertamente avversari, come l’Australia.

Ingigantirne la portata però, avvisa Alberto Forchielli, economista e fondatore di Mandarin Capital Partners, sarebbe un errore. “È la risposta cinese al Tpp fatto naufragare da Trump, non gli va data troppa importanza. Il Tpp iniziale era uno strumento decisamente più sofisticato, che prendeva in considerazione ambiti diversi, dai diritti intellettuali all’ambiente fino ai trasferimenti di tecnologia. Non è, in definitiva, un accordo game-changer”, spiega a Formiche.net.

Né deve sorprendere la presenza di Paesi su fronti geopolitici opposti. “Una cosa è il commercio, un’altra la sicurezza. Ci sono tanti Stati della regione che amano commerciare con la Cina e sono politicamente rivali. Non c’è mai diretta corrispondenza”. Il Rcet “favorirà i produttori emergenti come il Vietnam, espanderà molto il loro export”.

Per gli Stati Uniti, continua Forchielli, il colpo incassato è relativo. Chi pensa che con Joe Biden alla Casa Bianca torni la corsa ai grandi accordi di libero scambio affondati da Trump durante i primi mesi di presidenza “si illude”. “Non è un caso se Biden non ne ha mai parlato in campagna elettorale. La base è contro quei trattati. I colletti blu, gli operai industriali, i sindacati che gli hanno regalato una maggioranza risicata in Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, si sentirebbero traditi. Odiano quei trattati. Hanno perso migliaia di posti di lavoro per colpa di quei trattati”.

L’Europa invece “ha tutto da guadagnare da questo tipo di intese, perché con i Paesi europei gli asiatici sono molto protezionisti. Ma l’Ue ha già siglato due accordi fondamentali di libero scambio con il Giappone e con il Vietnam”.

Non è il commercio, ma il “decoupling” delle catene di fornitura nel mondo tecnologico il vero terreno di scontro fra Cina di Xi e Stati Uniti di Biden, chiude l’economista. A partire dalla rete 5G . “La maggioranza delle aziende americane rimarrà in Cina, nonostante tutto. Su un mercato, quello dei semiconduttori, il divorzio è già in corso. Tutta la partita per il 5G si gioca a Taiwan. Ma è una partita già scritta. Alla fine l’isola si schiererà con Washington DC”.

L’articolo di Francesco Bechis nella sezione Economia di Formiche.net