1956, l'anno magico.

Come sono strani , almeno apparentemente , i ritmi del tempo!
Per anni ed anni sembra che non succeda nulla , che il mondo rimanga pressoché immobile , cristallizzato in una fotografia destinata a non cambiare mai , che la storia rallenti sin quasi a fermarsi mentre tutti noi restiamo sospesi in una specie di limbo che è in parte sorpresa per quanto sta succedendo , in parte sollievo per non essere quotidianamente costretti ad affrontare situazioni nuove , in parte aspettativa per quanto non sta accadendo oggi ma potrebbe invece avvenire domani.
Sono momenti in cui il cambiamento , che pure esiste sempre e che sempre mina con l’incosciente regolarità dell’onda marina le basi della nostra quotidiana sicurezza , non viene per nulla percepito , o lo è soltanto in minima parte. Salvo rivelarsi poi all’improvviso , in tutta la sua sconvolgente profondità. E allora restiamo al medesimo tempo sorpresi ed interdetti e ci diciamo che avremmo dovuto comprendere quanto stava succedendo , che disponevamo di tutti gli elementi necessari per farlo.
Realizziamo in quel momento quanto e come siamo stati ciechi al mondo che ci circonda ed ai messaggi che esso ci inviava con continuazione . Capiamo altresì che molto più della realtà quotidiana , immagine in costante cambiamento , quella che per noi conta e’ l’immobile fotografia di questo mondo che ci portiamo dentro. Immagine ideale , immagine fissa , immagine rassicurante . Forse immagine rassicurante proprio perché è fissa e ci estranea da una realtà che invece è fatta di cambiamento , di dinamica , di insicurezza!
Nascondere la testa sotto la sabbia e continuare a considerare come immobile tutto ciò che invece si muove è tipico dell’uomo ….ma non sempre e’ possibile! Ci sono infatti momenti in cui la storia sembra accelerare il proprio ritmo facendo fronte , improvvisamente ed in contemporaneità , a tutti quei problemi cui sino a quel giorno aveva permesso di accumularsi nonché di divenire sempre più gravi.
Sono i momenti in cui un intero paradigma inizia a mutare dando vita ad un periodo di caos creativo in cui il nuovo paradigma si sovrappone al vecchio che cerca di resistergli . Periodi in cui tutto sembra muoversi a velocità doppia , tripla del normale . Periodi di tensione , di rischio , di brinkmanship , di confronto , di scontro , a volte anche di conflitto , che producono storia ad un ritmo accelerato e soltanto quando la polvere di tutto questo riuscirà a depositarsi tu potrai renderti conto di come lo sconvolgimento ti abbia lasciato in eredità un mondo molto , molto diverso da quello che conoscevi.
Di solito quando ciò succede non si riesce a razionalizzare bene , a comprendere subito , ad assimilare un presente inaspettato ed a valutarne le conseguenze future. Occorre invece aspettare , acquisire prospettiva perché la visione possa diventare perfettamente lucida. E allora ti accorgi di come alcuni degli anni del nostro tempo che scorre , quelli in cui si concentra l’apice di questi processi rigenerativi , siano stati in realtà diversi da tutti gli altri che abbiamo vissuto. Anni intensi. Anni pieni . Anni assurti a simbolo di processi che magari hanno anche debordato dagli esatti limiti calendariali , ma che comunque hanno avuto in quel preciso millesimo il cuore del loro svolgimento.
Il 1956 e’ stato uno di questi anni , un anno particolarmente pieno di problemi e di avvenimenti . E’ l’anno del vero avvio della decolonizzazione nel mondo arabo . Marocco e Tunisia divengono indipendenti . L’Egitto tenta di affrancarsi definitivamente dalla tutela franco britannica nazionalizzando il Canale di Suez .Il 1956 e’ l’anno della destalinizzazione e del XX Congresso del PCUS con tutte le conseguenze che da esse sono derivate da entrambi i lati della Cortina di Ferro . E’ altresì l’anno della rivolta di Ungheria ,che evidenzia come le frontiere di Yalta siano divenute intoccabili e come i due blocchi contrapposti non siano affatto disposti ad affrontare una guerra per cambiarle . Il 1956 è anche l’anno in cui Francia , Inghilterra ed Israele provocano la Crisi di Suez in un tentativo di riprendere il controllo del Canale che fallisce a causa della decisa opposizione sovietica e del mancato appoggio americano. Un fallimento da cui ciascuno dei protagonisti trarrà le proprie personali conclusioni . E’ infine l’anno in cui una donna nera apre una crisi negli Stati Uniti rifiutandosi di cambiare settore su un autobus , ed anche li c’è un nuovo fronte che si apre , forse addirittura più insidioso degli altri poiché a tutt’oggi non si è ancora chiuso.
Questo approfondimento si limiterà in ogni caso a prendere in esame solo una parte di tutti gli avvenimenti che caratterizzarono quell’anno , vale a dire prima la destalinizzazione e la rivolta ungherese considerati strettamente connessi fra loro  , poi a decolonizzazione e a corsi di Suez anche essi per molti aspetti interdipendenti.
 
 
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Destalinizzazione e rivolta di Ungheria in fondo non sono altro che due diversi aspetti dello stesso macroscopico fenomeno che interessò negli anni cinquanta una Unione Sovietica divenuta pienamente conscia della sua forza nel corso del Secondo Conflitto Mondiale e che aveva compreso di essere destinata assieme agli Stati Uniti al dominio bipolare sul resto del mondo , senza peraltro essere ancora riuscita a  definire compiutamente con la controparte limiti e regole di tale condominio.
Come del resto avviene in tutti i momenti di cambiamento , il quadro generale dell’URSS appariva in quegli anni particolarmente confuso. La morte di Stalin , deceduto alcuni anni prima dopo aver vissuto la sua parabola di potere come un vero e proprio zar – ed appunto come uno zar era anche morto , con il trapasso facilitato da Beria , uno dei suoi boiardi , che gli mantenne sino a cose fatte un cuscino sul viso – aveva infatti innescato una feroce lotta per la successione conclusasi solo dopo qualche tempo con l’assunzione al soglio di Nikita Krushov. Sopravviveva comunque , nell’ambito dei circoli di potere , una minoranza rimasta ferocemente staliniana e pronta ad approfittare di ogni occasione che potesse innescare un ritorno all’antico.
Il ritardo determinato dai problemi connessi alla successione aveva così finito dilazionare anche la necessità per l’URSS  , che per molti versi appariva impellente ,di rivedere in chiave più realistica , e quindi in un certo senso revisionistica ,tutta la straordinaria traiettoria del potere staliniano.
La morte del georgiano sembrava infatti poter riaprire , tra l’altro , il feroce dibattito dottrinale che aveva opposto , a cavaliere della sparizione di Lenin , Stalin a Trotzky . La rivalità fra i due non era infatti stata soltanto rivalità personale ma , ben prima di questo , si era rivelata innanzitutto contrapposizione ideologica.
Per il futuro del comunismo Stalin vedeva infatti una unica possibile soluzione , vale a dire quella di uno stato guida , l’URSS ovviamente , di cui tutti gli altri protagonisti dovevano divenire satelliti . Alla guida sarebbe stato riservato il compito di controllare la piena aderenza dei satelliti alla ortodossia , intervenendo ovviamente con i mezzi ritenuti di volta in volta necessari ed opportuni e ponendo così rimedio ad eventuali deviazionismi .
In confronto a Stalin Trotzky era invece molto più aperto , sempre che di apertura si potesse parlare in momenti ed in contesti come quelli . Ove Stalin parlava di “comunismo e stato guida ” Trotzkysi riferiva invece nella sua tesi dottrinale al ” comunismo e rivoluzione universale” , nell’idea che l’URSS in fondo altro non dovesse essere che una levatrice , destinata a facilitare   la nascita e l’affermarsi in ogni paese di una forma di comunismo autonomo . Che poi questi comunismi nazionali dovessero tutti continuare a fare riferimento all’URSS , vista come la casa madre di un marxismo divenuto quasi religione , era dato per scontato , senza che ciò però influisse  sulla natura e sulla virulenza del dissidio.
Quando il contrasto tra le due tendenze era al massimo  Trotzky , allora a capo dello strumento militare sovietico che aveva efficacemente ristrutturato, si presentò a Varsavia , convinto che operai e contadini polacchi gli avrebbero aperto le braccia in nome della universale fratellanza dei lavoratori . Il risultato fu più disastroso che deludente ; fra i polacchi prevalse l’impulso nazionalista e l’URSS venne rovinosamente respinta alle proprie frontiere. Trotzky non sopravvisse politicamente alla sconfitta . Stalin prevalse e lo costrinse a fuggire in Messico ove  qualche anno dopo verrà eliminato con un colpo di piccozza sul capo da un vero e proprio team di commandos spedito appositamente da Mosca per ucciderlo.
Anche se Trotzky aveva perduto , la sua ideologia rimaneva infatti viva e Stalin la considerava tanto pericolosa che durante le grandi epurazioni degli anni trenta la prima accusa che veniva rivolta a tutti gli imputati era , a torto od a ragione , quella di trotzkismo. Con la Seconda Guerra Mondiale e gli avvenimenti successivi il modo in cui Stalin impose la propria visione di “comunismo e stato guida ” divenne , se possibile , ancora più ossessiva .
L’ URSS doveva essere il centro di tutto e ad essa ognuno dei satelliti doveva fare pieno ed assoluto riferimento . A tutto ciò il georgiano aggiunse anche , molto abilmente , una nota nazionalistica che faceva riferimento alla lunga storia della vecchia Russia ed una nota personalistica , che lo elevava al rango di “Piccolo Padre” , l’ essere umano in cui in pratica si concentravano l’essenza della dottrina marxistica , la gloria della Russia di un tempo, il peso dell’impero sovietico e le speranze  del comunismo in tutto il mondo .
Il comunismo assomigliò così sempre di più ad una fede e Stalin per molti aspetti divenne un dio. La sua opera e la sua figura non potevano essere discusse , lui non sbagliava mai , lui era quello che con la sua visione aveva da solo salvato il mondo dalla barbarie nazifascista , lui era colui in cui tutti i comunisti del mondo dovevano avere una fede cieca e quanto più possibile assoluta ….
Questa situazione duro sino al 1953 poi Stalin , umano nonostante tutto , morì . Dopo la sa sparizione la classe dirigente dell’URSS si ritrovo’ confrontata ad un malcontento nazionale che montava pericolosamente mano a mano che i crimini del georgiano , non più tenuti celati per paura della sua vendetta , divenivano evidenti. Le scelte possibili in un caso del genere erano soltanto due , o si continuava con l’oppressione staliniana o ci si decideva a denunciare i crimini di cui si erano macchiati dittatore e stalinismo. Krushev , una volta assunto il potere in maniera sufficientemente salda , scelse la seconda strada !
La data della cosiddetta destalinizzazione è fissata ufficialmente al 24 febbraio 1956 , al termine del XX Congresso del Partito Comunista della Unione Sovietica. In una seduta a porte chiuse , riservata ai soli membri sovietici mentre le 55 delegazioni di Partiti Comunisti stranieri – tra cui quella italiana guidata da Togliatti – venivano lasciate fuori dalla sala , Krushev lesse infatti un rapporto classificato come segreto in cui si deploravano in termini molto duri il culto staliniano della personalità e gli effetti negativi che esso aveva prodotto in trenta anni di storia sovietica. Ovviamente le numerose colpe che avevano determinato gli errori e le sofferenze di quel periodo venivano interamente attribuite al dittatore georgiano , mentre si salvaguardava quanto più possibile il Partito. Il rapporto , nonostante la classifica di segretezza , venne pubblicato poco tempo dopo quasi integralmente dalla stampa americana. Nell’alta burocrazia del partito ed anche fra le delegazioni straniere presenti ne circolarono inoltre fin dal primo momento , e forse anche prima della sua presentazione ufficiale , copie complete.
Il rapporto , che sanciva ufficialmente la fine di una epoca e l’inizio di una nuova , ebbe un impatto fortissimo su tutto l’ecumene comunista. In Russia esso venne accettato quasi integralmente , sia pure con qualche resistenza da parte della superstite vecchia guardia bolscevica. All’estero la massa dei partiti comunisti si adattò con rapidità alla nuova situazione , che tra l’altro comportava anche l’apertura ad inedite possibilità di collaborazione con altre forze della sinistra internazionale. In alcuni , ad esempio nel PCI , vi furono discussioni abbastanza accese in cui venne posta sul tavolo anche la connivenza di dirigenti nazionali con i crimini staliniani . Nel caso italiano le discussioni terminarono però con l’adesione alle nuove tesi , la sopravvivenza alla Segreteria di un Togliatti fortemente indebolito e la perdita di circa 200 mila iscritti. Altri partiti infine , come ad esempio quello francese ,rifiutarono la destalinizzazione costituendo uno zoccolo duro che rifiutava di convertirsi al nuovo credo.
Lo sconcerto maggiore in ogni caso si ebbe nei paesi satelliti , ove classi dirigenti e popolazioni iniziarono a chiedersi se e quanto la sconfitta postuma di Stalin non comportasse anche la sparizione dell’idea dello stato guida e la rinascita dell’ideologia trotzkista delle vie nazionali al comunismo.
All’epoca , tra l’altro , l’ingresso dei paesi dell’est europeo nella sfera comunista era ancora un fatto relativamente recente e la situazione non appariva ancora del tutto consolidata . In alcune aree , come nei paesi baltici , sopravvivevano addirittura ancora residui di resistenza armata all’occupante sovietico. In altri paesi , e soprattutto in Polonia ed Ungheria, restavano forti il malcontento e la speranza che un eventuale nuovo scontro fra il mondo libero e quello comunista sconvolgesse il tracciato della”Cortina di ferro” fissato a Yalta . Una speranza che veniva costantemente alimentata dalle cosiddette “Radio libere” , come ad esempio “The voice of America” , finanziate dagli Stati Uniti e che trasmettevano da località prossime alle frontiere del Patto di Varsavia nelle lingue nazionali dei paesi dell’est europeo.
L’insieme degli stati satelliti della Unione Sovietica era quindi in quei primi anni del dopo Stalin qualcosa come una enorme pentola a pressione priva di valvola in cui il vapore avrebbe potuto portare ovunque ad una esplosione in qualsiasi momento. Dei primi scontri vi erano già stati in Germania dell’Est , guarda caso pochissimi mesi dopo la morte del dittatore . Innescati da motivi economici essi avevano rapidamente assunto colorazione politica marcata ed erano stati repressi con rapidità , durezza e riservatezza tali che ancora oggi si discute sul numero delle vittime e delle persone imprigionate. Seguirono poi agitazioni in Polonia , ove Gomulka , pienamente riabilitato dalle accuse che gli erano state rivolte ai tempi staliniani , riuscì comunque a non perdere mai il controllo della situazione.
Infine , all’inizio della terza decade di ottobre , inizio ad infiammarsi l’Ungheria , con una situazione che volse rapidamente al peggio . Qui infatti le cose erano rese più complicate da tutta una serie di fattori. Il primo era la natura stessa del popolo ungherese che nella sua storia ha sempre combattuto per le cause che riteneva giuste , anche quando esse apparivano disperate . “In tutta l’Ungheria – vi spiegano ancora oggi con orgoglio- non troverete un solo monumento originale . Sono tutti stati distrutti più e più volte nel corso dei combattimenti e ricostruiti poi in copia allorché ritornava la pace . Perché noi ungheresi non ci siamo mai rassegnati in anticipo alla sconfitta e abbiamo sempre preso le armi! ” . “Se volete vedere monumenti intatti , allora andate a Praga….” Aggiungono poi , lasciando a quel punto il discorso in sospeso …..ma queste sono solo malignità fra cugini.
A Budapest la situazione politica del momento era inoltre resa particolarmente complessa dalla lotta senza esclusione di colpi fra due personalità , Rakosi e Nagi , ciascuno appoggiato da parte della vecchia guardia sovietica. Allorché il clima insurrezionale inizio’ a farsi più caldo essi finirono , quasi come naturale conseguenza della loro rivalità , con lo schierarsi  su fronti opposti . A Nagy tocco la guida dei rivoltosi , mentre Rakosi dopo qualche esitazione si allineo’ sull’occupante sovietico.
Esisteva inoltre ancora in Ungheria un cenacolo intellettuale , il Circolo Petofi , che si rivelò capace di mobilitare e riunire nell’ora della tensione tutte le intelligenze del paese , riuscendo così a sviluppare per l’insurrezione prima una base dottrinale , poi una strategia coerente .
Per contro , come già accennato , il campo sovietico appariva fortemente diviso : lo stalinismo era stato sconfitto , ma gli stalinisti rimanevano ancora una minoranza forte e pronta ad attribuire alla destalinizzazione la colpa di tutti i torbidi che potevano sorgere nei paesi satelliti .
Le strutture di governo e di partito si presentavano inoltre come organizzazioni molto burocratizzate , quindi istituzionalmente lente, riluttanti davanti alla assunzione di responsabilità , alla costante ricerca di decisioni quanto più possibile collegiali e costantemente attente a non fare nulla che potesse dispiacere alle persone in quel momento al vertice. Quanto di meno adatto insomma per uno di quei sobbalzi della storia che richiedono coraggio , gusto della responsabilità ed assoluta rapidità di decisione
Per colmo di misura poi le truppe russe dislocate in Ungheria come previsto dal Trattato di Pace  risiedevano in quel paese da tanto tempo da avere intessuto una fitta rete di collegamenti con la popolazione locale. Nella prima fase dei moti , allorché una presa di posizione decisa da parte dei militari occupanti avrebbe potuto essere fondamentale , esse finirono addirittura col simpatizzare con i rivoltosi mantenendo una posizione che si può definire di benevola neutralità.
Era pero’ soprattutto la situazione politica internazionale che poteva alimentare le speranze ungheresi . L’Urss aveva cessato da poco l’occupazione dell’Austria che dopo la partenza delle truppe sovietiche aveva ribadito la propria neutralità. Si stava così creando nel Centro e nel Nord dell’Europa una fascia di paesi neutrali , che avrebbe potuto costituire un ideale cuscinetto di interposizione  fra la NATO ed il Patto di Varsavia ed avrebbe altresì goduto  di continuità territoriale se le potenze occupanti avessero deciso di neutralizzare le due Germanie.
Perché dunque non si poteva pensare che anche l’Ungheria potesse rientrare in tale zona ? Ed in effetti ad un certo punto della crisi una richiesta in tal senso venne avanzata da Budapest alle Nazioni Unite.
Esisteva inoltre la speranza di un intervento occidentale in favore di un eventuale distacco del paese dal blocco sovietico . Non vi era a dire il vero nessuna dichiarazione ufficiale degli Stati Uniti e degli altri grandi Paesi dell’Alleanza Atlantica che andasse in tal senso e da un certo momento in poi , specie dopo l’inizio della contemporanea crisi di Suez , ve ne furono invece altre che categoricamente  smentivano l’ipotesi . La speranza veniva però costantemente , ed in un certo senso incoscientemente , rinfocolata dalle cosiddette radio libere , la “Voce dell’Europa ” , quella “dell’America ” ed altre , che trasmettevano propaganda anti sovietica da altre frontiera .
La crisi ungherese ebbe la caratteristica di essere brevissima , duro’ meno di venti giorni , e particolarmente violenta . In una prima fase lo scontro fu soprattutto fra i dimostranti , sempre più palesemente appoggiati dalle Forze Armate , e la Polizia Politica Ungherese , mentre le truppe russe rimanevano confinate nelle proprie caserme . Poi Krushev , che si sentiva minacciato nella sua leadership e temeva che il contagio ungherese si estendesse all’intero Patto di Varsavia , decise per l’intervento dopo avere ricevuto assicurazioni dal Capo di Stato Maggiore Sovietico sul fatto che l’ordine avrebbe potuto essere riportato a Budapest in meno di tre giorni.
In effetti una volta presa la decisione i sovietici non lesinarono sui mezzi e una armata forte di 200 mila uomini e 4000 carri armati passò le frontiere. Era interamente composta di russi , a dimostrazione di quanto poco ci si fidasse dei militari degli altri paesi satelliti. Ai soldati inoltre venne prospettata la possibilità di un attacco americano , in maniera tale da motivarli e far apparire gli ungheresi come infidi traditori del campo socialista .
Più o meno in otto giorni tutto era terminato , nonostante la disperata resistenza ungherese. I capi politici e militari della rivolta , arrestati a tradimento mentre negoziavano , furono processati e giustiziati segretamente qualche tempo dopo. Per tenere calma l’Ungheria , considerata come un paese particolarmente pericoloso , le venne col tempo concessa una autonomia economica particolarmente avanzata che costituì caso unico nell’ambito del COMECON.  Il 3% circa della popolazione ungherese scelse di prendere la via dell’esilio anziché continuare a vivere nel mondo comunista .
Le conseguenze della crisi furono rilevanti . In ambito internazionale due cose divennero chiare vale a dire come le Grandi Potenze non fossero disponibili ne’ a rimettere in discussione le frontiere di Yalta né a combattere fra di loro per esigenze di paesi terzi , per quanto motivate e giuste esse potessero apparire. Conseguenze che si rinforzarono mutualmente con quelle più o meno identiche che Governi ed opinioni pubbliche poterono trarre dalla contemporanea vicenda di Suez. Inoltre in tutto il mondo nei vari fori nazionali il comunismo fu costretto a fronteggiare una massiccia crisi che da un lato si tradusse in una massiccia perdita di uomini e di influenza  mentre dall’altro ebbe il benefico effetto di costringerlo a rinnovarsi . In ambito italiano , dopo gli anni di incubazione , tale effetto diede vita al”eurocomunismo ” prima ed alla ” via italiana al comunismo ” poi .
Dopo circa trenta anni Trotzky tornava a prendere il sopravvento su Stalin!
Sostanzialmente la decolonizzazione inizia con la fine della seconda guerra mondiale .
Trascinati loro malgrado in meno di trenta anni nella fornace dei due grandi conflitti che hanno insanguinato il novecento , i soldati dell’Asia e dell’Africa che avevano combattuto a fianco dei titolari degli imperi tornarono a casa , al momento della pace , con la piena coscienza della fragilità dei dominatori nonché l’idea di avere definitivamente riscattato con il loro sangue periodi di servitù a volte lunghissimi.
I grandi imperi che sino a quel momento erano apparsi solidissimi iniziano a vacillare , ciascuno con una dinamica , modalità e tempi  che gli sono propri , nonostante il fatto che il fenomeno rimanga un fenomeno comune. Almeno all’inizio il processo viene inconsciamente favorito dal gruppo dei grandi stati europei vincitori che decreta , nell’ansia di punire gli sconfitti , la spartizione fra Francia e Gran Bretagna dell’Impero tedesco dopo la prima guerra mondiale , la dissoluzione di quello italiano dopo la seconda. Una decisione che restituisce l’Etiopia alla sovranità del Negus e la Libia a quella del Gran Senusso . Per la Somalia vengono invece previsti dieci anni di amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite che scadranno nel 1960 . In ogni caso , pur nella differenza delle condizioni , si tratta di ben tre Stati che accedono pressoché contemporaneamente  alla indipendenza ed alla libertà , in parte nel mondo arabo , in parte in quello africano.
Le altre colonie quella stessa libertà iniziano a conquistarsela , cominciando ovviamente da chi è più evoluto e gode di maggior peso sulla scena internazionale.La prima ad andarsene è l’India , il gioiello della Corona Imperiale Britannica , che però purtroppo si scinde rovinosamente lungo linee di frattura religiose nel 1947 ,al momento della partizione . Una frattura che nonostante il trascorrere dei decenni rimane tuttora viva e sanguinante dando  origine sino a questo momento a tre guerre , tutte dolorose e tutte egualmente inconcludenti.
Poi nel 1954 se ne va il Vietnam del Nord , sconfiggendo a Dien Bien Fu l’esercito francese . E’ la prima vittoria di un popolo coloniale su di uno stato europeo ed il fatto allarma particolarmente Parigi proprio perché si tratta di coloro che la Francia più stimava e rispettava . In tutto l’Impero francese dell’epoca i quadri intermedi della amministrazione erano infatti formati da vietnamiti del Nord , capaci , intelligenti e disciplinati al punto da essersi conquistati il soprannome di “prussiani dell’Asia”.
Ci troviamo palesemente dell’inizio di un processo , che comunque per il momento interesserà soprattutto i domini francesi ed inglesi . Quelli belgi , spagnoli e soprattutto portoghesi seguiranno poi anche essi , ma con tempi e dinamiche ben diverse.
I primi problemi per la Francia vengono dal Nord Africa , da un Marocco dominato da una dinastia di sovrani locali consolidata da una diretta discendenza dal Profeta Maometto e da una Tunisia ove gli intellettuali del partito Destur , guidato da Bourghiba , stanno rapidamente trasformando il paese in senso occidentale. In alcuni momenti in particolare la situazione in Tunisia si fa talmente inquieta che Parigi e’ costretta a far intervenire a Biserta reparti della Legione Straniera. Rimane invece per il momento tranquillo il paese più grande e più ricco del Magreb , l’Algeria . Li’  la presenza francese è così forte che la Francia finirà col concedere a tutta l’area lo status di territorio nazionale , un pezzo di Francia oltremare , insomma. In Algeria però il fuoco cova già sotto la cenere nonostante l’apparente tranquillità ,  pronto ad esplodere poco dopo nella guerra più lunga e sanguinosa della decolonizzazione
L’Impero inglese , per contro , sta iniziando a fronteggiare guerriglie sanguinose in Asia ed in Africa , ad esempio quella dei Mau Mau in Kenia , ma si tratta per il momento di punture di spillo cui il suo esercito interamente professionale riesce agevolmente a far fronte . Più preoccupante appare invece la situazione nel mondo arabo ove in Egitto Nasser sembra ormai lanciato in un processo che appare chiaramente destinato a concludersi con la nazionalizzazione del Canale di Suez , in Giordania la Legione Araba ha cacciato gli Ufficiali inglesi passando sotto il diretto comando di Re Hussein e l’Iraq appare pervaso da una inquietudine che sfocerà poi nel 1958 nella sostituzione di Re Feisal con una giunta militare.
A complicare le cose inoltre  nel 1954 alla Conferenza di Bandung lo jugoslavo Tito , l’indonesiano Sukarno e l’egiziano Nasser hanno lanciato il movimento dei non allineati che si imporrà rapidamente come un preciso riferimento politico per tutti coloro che aspirano ad uscire dalla colonizzazione.
Il 1956 si presenta quindi come un anno di massima incertezza in questo settore.
Francia e Gran Bretagna si trovano chiaramente ad un bivio . Da un lato esse possono considerare la colonizzazione come un processo inevitabile e cercare unicamente di disciplinarla in maniera tale che avvenga con ordine e senza provocare guasti maggiori. Dall’altro invece possono combatterla, opponendosi al meglio delle loro forze e delle loro esperienze alla progressiva dissoluzione dei loro imperi .
Come quasi sempre succede la soluzione adottata non è purtroppo né l’una né l’altra ma bensì un tentativo di fruire degli aspetti migliori di entrambi i lati dell’alternativa , rifiutandone nel contempo quelli peggiori.
La Francia concede così l’indipendenza al Marocco ed alla Tunisia , cosa che nelle sue intenzioni  dovrebbe consentirle di concentrare tutte le sue forze nella difesa della incedibile Algeria. Per dimostrare come essa sia disposta eventualmente a concedere , ma mai a subire , Parigi  si associa inoltre ad Israele ed alla Gran Bretagna nella sfortunata , e soprattutto  mal calcolata , azione armata per il recupero del Canale di Suez che Nasser aveva nel frattempo nazionalizzato . Analoghe considerazioni , di utilità e di prestigio , motivano anche la Gran Bretagna , desiderosa probabilmente di dimostrare a tutto il mondo come l’episodio indiano altro non sia che un caso isolato e come l’Impero non sia disposto ad accettare ulteriori amputazioni.
Speranze che come si vedrà inseguito rimarranno tutte deluse . Più che costituire un punto fermo nel processo di decolonizzazione , il 1956 finirà di conseguenza con l’imporsi come il vero anno di inizio del fenomeno , quello dopo il quale esso diviene un turbine inarrestabile destinato a portare alla liberazione la maggior parte del mondo in meno di un decennio .
Nasser e 56
In Occidente non abbiamo mai ben compreso quale sia stato l’impatto di Nasser sulla millenaria storia egiziana.
Per noi Nasser altro non e’ che un tirannello medio orientale , il primo di quei dittatori usciti dalle fila delle Forze Armate che poi, dagli anni sessanta sino alle primavere arabe , sono divenuti una costante dell’intero Nord Africa e del Medio Oriente. Gli imputiamo di aver condotto il suo paese in due guerre terribili contro Israele , entrambe perse rovinosamente in tempi brevissimi, aumentando in tal modo le sofferenze e la miseria di un popolo per sua fortuna di grande , enorme pazienza. Lo biasimiamo per aver permesso l’occupazione di  una parte considerevole del territorio nazionale , il Sinai , con una estensione pari ad un terzo di quella dell’Italia.. Lo accusiamo di avere spinto Francia e Regno Unito alla guerra , cercando di carpir loro , con una nazionalizzazione che noi valutiamo più o meno come una rapina , quel controllo del Canale di Suez che era loro di diritto . Troviamo inaccettabile il fatto che , guastatosi con l’Occidente , egli abbia aperto ai russi – che vi sono rimasti per quasi venti anni come una spina nel fianco meridionale della NATO – i porti e le altre infrastrutture militari dell’Egitto. Ricordiamo inoltre con pochissima simpatia come a Bandung nel 1954 egli sia stato , insieme al Maresciallo Tito ed al Presidente Sukarno, uno dei tre padri fondatori del movimento dei non allineati che , pur con tutte le limitazioni del caso , si inserì come una terza forza in un mondo fino a quel momento bipolare rendendolo addirittura più complesso di quanto non fosse mai stato in precedenza.
Parliamo inoltre , il più delle volte con un certo scherno , dei suoi tentativi di unificare il mondo arabo sotto la nuova bandiera di un socialismo inedito e locale .Tentativo più volte ripetuto ed altrettante fallito , ma che ha lasciato dietro di se’ idee e semi che continuano a germogliare……anche se a volte non nel giusto terreno
Per chi è nato in Egitto , anche per coloro che appartenendo alle classi sociali più elevate più hanno sofferto e più hanno perso per il socialismo arabo , Nasser è innanzitutto il primo egiziano che abbia governato il suo paese dopo 2500 anni circa di ininterrotta dominazione straniera. Si , e’ vero , prima di lui prese il potere e lo tenne per un tempo brevissimo dopo la rivoluzione dei “12 ufficiali liberi” che cacciò re Faruk , il Generale Neguib . Egli non fu però altro che un uomo di facciata , interpellato all’ultimo minuto prima di agire allorché i congiurati realizzarono che erano tutti molto giovani e di grado molto basso. Il capo vero , Nasser appunto,  era soltanto  un Tenente Colonnello e per di più promosso da poco . I congiurati rischiavano così  di non essere presi sul serio e non essere seguiti , nonostante il malcontento verso la monarchia fosse forte , proprio perché erano tanto giovani e del tutto sconosciuti. La soluzione adottata fu di conseguenza quella di rivolgersi a Neguib , Generale anziano e che godeva di una certa fama per essersi ben comportato combattendo contro Israele nella guerra per l’indipendenza del 1948 Fin dall’inizio però fu ben chiaro chi tirasse realmente le fila ed avesse un progetto a lunga scadenza destinato a coinvolgere non soltanto il paese ma l’intero mondo arabo. Neguib durò in carica più o meno per un anno , per poi lasciare a Nasser , che l’avrebbe tenuta per circa quindici , la poltrona di Presidente.
Non erano anni facili e non era una poltrona facile . Lo scontro degli arabi con Israele era soltanto all’inizio . Gia’ era chiaro pero’ come gli israeliani avessero realmente da temere qualcosa soltanto se e quando l’Egitto fosse entrato a far parte di una coalizione contro il giovane stato ebraico che si stava lentamente consolidando ma non era ancora la potenza regionale che sarebbe divenuto più tardi. Una condizione che era al medesimo tempo un assett , che rinforzava la leadership del Cairo in ambito arabo , ma si presentava anche come una maledizione destinata a fargli pendere perennemente sul capo la spada di Damocle di un potenziale nemico coraggioso , spaventato e che considerava gli attacchi preventivi come un atto di guerra lecito.
In sospeso rimaneva anche la precisa definizione dei rapporti con la Gran Bretagna e la Francia , le due potenze coloniali che dominavano ancora lo scenario africano. Tecnicamente l’Egitto non era mai stato una colonia ma con la scusa dei debiti solo parzialmente onorati che i kedivè avevano contratto con il capitale internazionale per lo scavo del Canale di Suez , Londra lo aveva occupato per più di sessanta anni , trattando gli egiziani nella peggiore delle maniere possibili. Gli egiziani avevano reciprocato con un odio sordo , destinato a rivelarsi di lunga durata . Ancor oggi al Cairo la gente non cammina sui marciapiedi , un tempo riservati ai soli inglesi e proibiti ai locali, per mantenere fresco il ricordo degli anni della umiliazione. A completamento del danno poi Gran Bretagna  e Francia si erano auto  rimborsate sequestrando al kedivè le azioni del Canale di Suez che fini con l’essere gestito da una compagnia franco britannica , cosa che escludeva completamente i locali tanto dalla gestione quanto dal profitto.
Era chiaro a questo punto come nel caso in cui Nasser e l’Egitto volessero prendere quota ed iniziare a presentarsi come i campioni della causa araba la loro azione dovesse necessariamente passare da un lato per il recupero del controllo del Canale di Suez , dall’altro attraverso una contrapposizione dura ad Israele.
In effetti negli anni immediatamente successivi alla presa di potere da parte degli “Ufficiali liberi”i rapporti fra Israele e l’Egitto divennero sempre più tesi . Gli israeliani costruirono in quel periodo il porto di Eilat sul Mar Rosso ed il Cairo fece il possibile per ostacolare nell’area la libertà di navigazione grazie al controllo degli Stretti di Tiran che dominavano l’accesso delle navi al mare aperto. Iniziò inoltre una sere di reciproci colpi di mano. I primi fedain da un lato , organizzati e finanziati dall’Egitto ma operanti dal territorio giordano . Commandos israeliani dall’altro , che compivano incursioni frequenti soprattutto in area Sinai.
Per un certo periodo i rapporti egiziani con l’Occidente rimasero comunque abbastanza buoni , al punto tale che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna accettarono di partecipare al finanziamento della costruzione della Diga di Assuan , la grande opera destinata a mutare il volto del paese. Poi però le cose si guastarono allorché  Nasser riconobbe diplomaticamente la Cina comunista ed inizio , più o meno contemporaneamente ,ad acquistare materiale militare prodotto nell’area del Patto di Varsavia. USA e Uk si ritirarono di conseguenza dal consorzio della High Dam mentre Nasser , a corto di capitali per l’opera nonostante le promesse sovietiche , decise la nazionalizzazione del Canale di Suez , all’epoca di gran lunga la maggiore delle possibili fonti di valuta pregiata per l’Egitto.
La reazione rapidamente concordata fra Francia , Gran Bretagna ed Israele , consistette alla fine del mese di ottobre 1956 , in una azione corazzata terrestre con cui Israele si impadronì fulmineamente del Sinai giungendo ad affacciarsi sul Canale , mentre paracadutisti francesi ed inglesi assumevano il controllo di Port Said , allo sbocco mediterraneo della via d”acqua.
In pochissimo tempo e con perdite relativamente limitate la guerra sembrava vinta .
Con altrettanta rapidità la situazione politica si dimostrò però ben più complessa di quanto gli invasori non avessero previsto. Con grande sorpresa di Londra la maggior parte dei paesi del Commonwealth , in prima linea India , Canadà ed Australia , si dichiarò contraria alla azione che veniva vista come un episodio di neo colonialismo. Fortemente contrari si dimostrarono anche gli Stati Uniti , il potenziale alleato sul cui supporto Parigi e Londra più contavano,  imbarazzati da una invasione che avveniva in pressoché perfetta coincidenza con la rivolta ungherese. Un fatto che impediva a Washington di condannare l’intervento sovietico a Budapest sostenendo nel contempo quello franco/inglese a Port Said.
A chiudere la partita fu poi l’Unione Sovietica con un ultimatum , cui gli USA non si opposero , in cui minacciava di utilizzare su Parigi e Londra se non si fossero ritirate ” tutti i tipi di moderne armi di distruzione ” . Una promessa terribile visto che proveniva da una super potenza che disponeva già largamente di armi nucleari. In breve tempo i tre  occupanti decisero così concordemente di ritirarsi.
Le conseguenze di questi atti furono parecchie , varie e destinate a durare nel tempo.
Nasser uscì rafforzato dalla guerra che aveva perso militarmente e vinto politicamente. La sua presa sul popolo egiziano divenne pressoché totale ed egli acquisto un particolare potere di attrazione , destinato a durare nel tempo , per tutto il campo arabo progressista.
USA ed URSS resero chiaro a tutto il mondo il fatto che non intendevano in alcun caso rischiare uno scontro nucleare per difendere interessi altrui : un punto che da quel momento in poi gli alleati di entrambe le parti dovettero tenere costantemente presente. Gli USA inoltre ribadirono come non intendessero assolutamente rimanere coinvolti nei tentativi europei di mantenere in piedi domini coloniali che ormai stentavano a reggersi. A Dien Bien Fu , nel 1954  gli Stati Uniti avevano rifiutato alla Francia gli aerei da trasporto truppa che Parigi aveva chiesto come supporto . Qui arrivarono quasi ad allinearsi con la Russia , a dimostrazione – come si speculò dopo – di come in fondo essi si considerassero ancora la prima colonia al mondo ad aver conquistato col sangue la propria indipendenza.Si trattava di un concetto che divenne ancora più chiaro quando poi ai tempi della guerra di Algeria gli USA appoggiarono l’FLN contro Parigi.
L’URSS cercò di usare il proprio successo nell’episodio per bilanciare i fatti di Budapest . Non ci riuscì completamente ma arrivo’ comunque ad intorbidare gli scenari sino a farli divenire particolarmente confusi . In più le rimase in dote l’amicizia dell’Egitto , che le consentì di rimanere con una flotta  in Mediterraneo per altri quindici anni.
Diverse le strade seguite dai tre sconfitti.
Israele trovò nella guerra una conferma delle sue tattiche e della sua crescente forza militare , che troverà poi piena espressione  nella successiva “guerra dei sei giorni” . La Gran Bretagna prese atto del proprio declino e della impossibilità di sostituire l ‘Impero con il Commonwealth. Negli anni che verranno Londra si ritirerà “ad ovest di Aden” ,  non si opporrà mai  alla decolonizzazione e sarà sempre più vicina agli Stati Uniti nel tentativo di valorizzare la cosiddetta  “relazione particolare ” che lega i due popoli di lingua inglese delle opposte sponde dell’Atlantico. La Francia , infine , uscì dalla impresa con la convinzione che non fosse più possibile fidarsi di alcun alleato ma che occorresse  invece mantenersi forti , autonomi ed autosufficienti in tutti i settori. L’idea della “Force de frappe” francese , che verrà portata avanti negli anni successivi, nasce proprio in questo momento.
Interessanti e con conseguenze a lunga scadenza anche le reazioni delle due principali Organizzazioni Internazionali interessate.
Le Nazioni Unite colsero infatti l’occasione per mettere in campo i primi caschi blu . Nascevano l’ ” UN Peacekeeping Department” e l’interventismo onusiano. L’Alleanza Atlantica riconobbe invece il grave rischio di rottura connesso ad iniziative belliche non preventivamente concordate fra gli stati membri . A seguito di un “Rapporto dei tre saggi” , commissionato per l’occasione a tre personalità politiche europee di grande rilievo , essa decise quindi di esaltare il proprio lato politico vincolando in pratica  le iniziative di ciascuno degli Stati membri ad un nulla osta preventivo da parte sua. Una regola che pur con i temperamenti sopravvenuti dopo la fine della guerra fredda vige tuttora.

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